In Liguria si mangia male, a Genova peggio: lo dice il curatore della Guida dell’Espresso

da | Mag 24, 2017

Alcune regioni italiane brillano per la densità di ottime cucine “d’autore”, mentre altre rimangono legate alla tradizione e offrono il meglio dei propri bocconi all’interno di trattorie o ristoranti classici. Poi c’è la Liguria, che (purtroppo, e nonostante un potenziale clamoroso) fatica a esprimere grande ristorazione di un tipo e pure dell’altro. Una penuria di buone tavole che si fa ancor più marcata non appena si entra a Genova, dove a dominare sono i locali turistici che ritoccano verso l’alto i prezzi e verso il basso la qualità.

L’epitaffio tombale della ristorazione ligure non si trova al Cimitero di Staglieno, ma sulle pagine di Repubblica.it. E l’esecutore testamentario non è uno qualsiasi, ma nientemeno che Enzo Vizzari, cioè il curatore della Guida dell’Espresso, cioè uno dei massimi critici gastronomici italiani. Uno che di mestiere giudica ristoranti in giro per l’Italia. E non allevia il dolore il fatto che la frase sia un prologo ad una recensione più che positiva de Il Marin.

Non abbiamo, noi poveri papilli, né l’esperienza né la credibilità per opporci ad un giudizio così autorevole. E in verità non vediamo neanche l’opportunità di farlo: è un’affermazione che ha indubbiamente una sua parte di amara verità.

Da qualche anno seguiamo qui sul blog lo stato di salute dei ristoranti stellati della Liguria o delle osterie di Slow Food e l’encefalogramma è piatto, quando non sconfortante. Senza scomodare stelline e chioccioline, basta anche solo contare le dita che servono a elencare le opzioni per cenare spendendo palanche senza pensieri (qui forse c’è anche un problema sullo spendere palanche su cui sorvoliamo elegantemente).

Eppure. Eppure non riusciamo a non scorgere segni di ripresa. Sono evidentemente ancora sotto i radar delle guide, ma ci sono. Se una generazione di giovani cuochi poco più che trentenni sta cominciando a uscire con sicurezza – qualcuno già affermato come Davide Cannavino, Alessandro Massone, Matteo Badaracco, Marco Visciola per restare a Genova, o Emanuele Donalisio, e Israel Feller nelle riviere – altri sgobbano in cucina senza ancora la luce dei riflettori: la lista dei ristoranti-di-cui-dobbiamo-scrivere-su-papille-ma-che-siamo-troppo-pigri-per-farlo non è mai stata così lunga.
Questo movimento c’è, esiste, sta crescendo. Ma se vuole maturare è giusto che si misuri col livello di un Vizzari, perché sennò ce la raccontiamo tra noi. Prendiamo la bocciatura per quella che è: non un affronto di lesa maestà, ma un’asticella da raggiungere. E superare.

Vi lasciamo con i pensieri, simili al nostro, di un ottimo chef che amiamo sconfinatamente, Maurizio Pinto.

Autore

Giulio Nepi

44 anni, doppio papà, si occupa da aaaaanni di comunicazione web. Genovese all’anagrafe ma in realtà di solide origini senesi, ha sposato una fiamminga francese creando così un incasinato cortocircuito di tradizioni enogastronomiche

Leggi gli articoli correlati

Articoli correlati

Cari chef, cedete al lato oscuro di Instagram

Cari chef, cedete al lato oscuro di Instagram

Non ci voleva l'ennesima statistica per confermarlo, ma c'è: spendiamo cinque interi giorni all'anno a guardare foto di cibo su Instagram, e il 30% di noi si basa sull'appetibilità dei piatti postati per scegliere se andare o meno in quel ristorante. Non ci voleva...