Vuole un tè?

da | Mar 3, 2011

“Vuole un tè – prima o dopo me?”. Groucho, il fedele assistente baffuto di Dylan Dog, utilizzava questa battuta con ogni cliente per proporre un incontro galante, che poco però aveva a che fare con la classica tazza fumante. Perché il tè è prima di tutto un momento di pausa, un inno alla lentezza e all’ozio produttivo nel senso latino del termine. Proprio questo suo senso di distacco, di fermo immagine nello scorrere del tempo, può essere la chiave di lettura del crescente successo delle sale da tè che, anche se ancora timidamente, stanno comparendo nelle nostre città.

Io ho scoperto una sala da tè splendida, le Camelliae Tearoom (via Marconi, 6) a Castiglione del Stiviere (Mn). Mi ha colpito all’ingresso per il suo silenzio, la musica soft che invogliava la conversazione e la lista fornita di tè. Perché c’è da dire che oggi la cura richiesta nell’ambiente deve riflettersi nell’equilibrio di una carta dove si trovano elencati in bella mostra monorigine, miscele, infusi, tè verdi e neri. Il tutto accompagnato da una cura della pasticceria, l’altra colonna portante di questi nuovi templi della merenda. In questo locale è proprio così: pochi tavoli, una buona scelta musicale, qualche libro e le crostate con le migliori marmellate italiane e francesi realizzate con cura meticolosa da Carmen Bettoni, ex funzionaria di banca convertita al servizio impeccabile di una delle bevande più antiche del mondo.

Io non riesco a entrare nel merito dei tè, che si contano a migliaia e che rappresentano un universo olfattivo pari al vino, un esercizio perfetto per chi volesse allenarsi a riconoscere i profumi erbacei e floreali, con una finezza tale che pochi possano vantare. Non so se esiste un sommelier del tè, se ci siano corsi, se si possa pensare un giorno a grandi degustazioni di questo tipo. E’ però indubbio che tutti possono provare il piacere di ordinare una miscela che non sia azzerata dalla fetta di limone ma che lasci trapelare delicatamente tutto il suo bouquet. Nelle metropoli le sale da tè stanno acquisendo importanza sempre maggiore: a me è capitato a Parigi di scovarne due interessanti.

Parlo di Art-thé (27 rue Campagne première) a due passi dalla torre Montparnasse, in una viuzza, l’interno luminoso con i muri di pietra e una signora bella e gentile che in pausa pranzo propone anche delle gustose torte salate e Sugarplum (68 rue du Cardinal Lemoine) nell’intrigante Parigi di Mouffetard, un locale dove le creazioni di alta pasticceria fanno il paio con un servizio gioviale e simpatico di una giovane studentessa americana.

Certo sto parlando di tre situazioni distanti e diverse concettualmente le une dalle altre, eppure qualcosa che le accomuna esiste: la bellezza semplice dei locali, la competenza della carta, la fattura dei dolci che a diversi livelli e competenze mostravano tutti il carattere della precisione, quella cura che le nonne riponevano nel fare le torte, il loro profumo inconfondibile che dal forno si propagava in tutta la casa. Forse per questo la sala da tè è ancora oggi un fatto da donne, un luogo di confidenze intimo dove però anche un uomo non disdegna di rifugiarsi, a cercare silenzio e calore.

Autore

Fabio Molinari

L’unica persona sera in questa gabbia di matti. È un po’ che non scrive su Papille, ma ci ha lasciato bellissimi pezzi su vini, posti in giro per l’Italia e cazzabubole

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