C’è manna e manna. Noi parliamo di quella siciliana…

da | Dic 21, 2010

I greci e i romani la conoscevano col nome di Miele di rugiada o Secrezione delle stelle. La sua etimologia deriva dall’ebraico Mân Hu, “cos’è?”, essendo stata questa, come narra il XVI libro dell’Esodo, la domanda che gli ebrei affamati si rivolsero nel veder cadere un cibo sconosciuto, miracolosamente mandato loro da Dio nel deserto: la manna. Ma esiste una manna che non cade dal cielo, e non è un miracolo. Piuttosto, stilla dal frassino, che nella mitologia nordica è l’Yggdrasil, l’Albero della vita, che abbraccia l’universo: le sue radici arrivano al cuore della terra, i suoi rami riempiono il cielo, sulla sua chioma si radunano gli dei. Un tempo la manna si raccoglieva in diverse parti d’Italia: in Sicilia, in Calabria, nel Gargano, nel Beneventano, nel Molise, nel Lazio nei boschi della Tolfa, nella Maremma toscana. Era una pratica conosciuta dai contadini, tramandata in famiglia. Fu soprattutto la produzione di mannitolo di sintesi, fin dall’inizio dell’900, a far diminuire la richiesta del mercato, a portare verso l’estinzione quest’antica cultura.

Oggi la manna si raccoglie solo in Sicilia, nella terra selvaggia e splendente delle Madonie, precisamente nei comuni di Pollina e Castelbuono. Qui la tradizione ha resistito all’industria, rischiando sì la scomparsa, ma ha superato il periodo più difficile, rinnovando di stagione in stagione l’antica gestualità che caratterizza la produzione della manna. Così, dopo che per anni la tradizione è sopravvissuta solo grazie a un testardo manipolo di anziani, oggi anche qualche sparuto giovane si è riavvicinato a questa cultura. Buona parte del merito di questo ritorno alla manna va a Giulio Gelardi, un signore alto e magro, barbuto e dallo sguardo penetrante. È stato lui, alla metà degli anni ’80, a seguire le orme dei genitori nella produzione della manna. Rivoluzionandone però la tecnica di raccolta. Ecco come.

“Si dice che il frassino è maturo quando ha la giusta concentrazione di zuccheri per poter cristallizzare, e questo avviene solo quando entra nella dormienza estiva– spiega Giulio Gelardi- tipica dei climi mediterranei. La si riconosce da alcuni particolari: per esempio dalla foglia, che viene messa di taglio rispetto al sole, cosicchè le piante cominciano a fare pochissima ombra. A questo punto si può iniziare a fare le incisioni”. La grande novità apportata da Gelardi avviene nel 1986, ed è figlia dell’intuizione e di una piccola dose di fortuna. Fino allora, la manna che stillava dai tagli scivolava in buona parte sul tronco e sui rami, e la raccolta avveniva tramite raschiatura. Si otteneva così una manna poco pulita, contentente pezzi di tronco e altre impurità. “Una sera, prima di tornare in paese, salutai mia madre che stava rammendando dei pantaloni. Passando nel campo vidi un ramo che faceva un gomito, dove stava gocciolando della manna. Tornai di corsa indietro, presi la spagnoletta di filo, tornai dal frassino e feci in modo che il nodo corrispondesse alla goccia. Poiché il filo svolazzava, presi una pietra da terra e gliela legai sul fondo. Al mattino trovai un cannolo, poco più grosso di un fiammifero, rappreso attorno al filo. Capii che quella era la soluzione. Ritornai in paese, comprai dieci spagnolette e iniziai a legare il filo agli alberi”.

Oggi si usa il filo di nylon, liscio e più resistente. Il risultato è che la manna prodotta è molto più pulita, di qualità superiore. E poi c’è un’altra novità. “Le due varietà da sempre utilizzate per produrre la manna sono il frassino ornus, prevalente a Pollina, che produce una manna più cristallina, più buona, ma in quantità notevolmente più bassa, e il frassino angustifolia, prevalente a Castelbuono, che garantisce maggiore quantità ma minore qualità. Nel secondo dopoguerra è stata trovata una nuova varietà, il verdello, che produce una manna di qualità molto simile all’ornus ma con quantità da angustifolia. E oggi usiamo tutti questa varietà”. Insomma, una specie di uovo di Colombo. Ultima innovazione, non meno importante, è stata l’avvio della vendita diretta di manna da parte dei produttori, anche sotto l’impulso di Slow Food che ha creato un presidio apposito. “Prima la vendevamo in grossi quantitativi all’industria, senza poter contrattare il prezzo. Vendendola noi in piccole quantità non vediamo più svalutato il nostro lavoro, possiamo controllare i prezzi e permetterci di mantenere in vita questa raccolta tradizionale”.

La manna in cucina

E in campo gastronomico? Che usi può avere la manna? A promuovere il suo utilizzo ci ha pensato un pasticciere di Castelbuono, Nicola Fiasconaro, titolare dell’omonima azienda familiare, famoso per la sua produzione di panettoni in Sicilia. Ed è proprio un panettone, glassato alla manna, la sua invenzione. “Ho realizzato il Mannetto circa 20 anni fa – spiega Nicola Fiasconaro-: la sua caratteristica principale è che nella glassa, dopo la cottura, accorpiamo una percentuale di pasta di manna che dà un sapore e un profumo inusuale e accattivante. Abbiamo provato a inserire la manna anche nell’impasto, ma la sua fragranza scompare durante la cottura del lievitato”. Nasce così un dolce molto particolare, che deve essere consumato entro due mesi dalla produzione. Ma nel laboratorio di Fiasconaro si sta ora lavorando a un nuovo prodotto, che potrebbe essere ancora più speciale. Merito di un ragazzo giovane, Giandomenico Lamonica, che ha scoperto una caratteristica molto interessante della manna. “Mi ricordo che quando ero bambino – spiega Lamonica- mio nonno raccoglieva la manna e quella liquida, la manna ammulata, (ammielata) la metteva in bottiglie di vetro sigillate con la gretta. A volte qualche bottiglia scoppiava, per la fermentazione della manna. E allora mi sono detto: perché non utilizzare la manna nei processi di fermentazione? Perché non utilizzarla, ad esempio, per produrre del pane?” Già oggi, nel laboratorio di Fiasconaro, si realizzano delle brioches dove il lievito di birra è sostituito interamente dalla manna liquida. Il sogno, però, è quello di realizzare panettoni con la pasta madre di manna.

Ma la manna ha anche altri utilizzi. Giulio Gelardi, ad esempio, prepara cioccolata fondente sfruttandone una caratteristica. “La manna non è solo uno zucchero, ma anche un sale. La pasta di cacao è acida, e addizionata con la manna perde parte di questa acidità. Si possono ottenere così dei fondenti ancora gradevoli: ad esempio, preparo un fondente al 90% aromatizzato all’anice”. Gelardi produce anche un liquore con manna in infusione, e una linea di cosmetici.

Mentre nei ristoranti di Castelbuono la manna entra nei menu. Al Nangalarruni, bella trattoria nel cuore del paese che prende il nome dal famoso strumento a bocca siciliano che cadenza le canzoni popolari, uno dei piatti più buoni è senz’altro il filetto di maialino nero in crosta di manna, mandorle e pistacchi.

Cos’è la manna e i suoi utilizzi medici

La manna è il prodotto che si ottiene dalla solidificazione della linfa elaborata che fuoriesce, durante la stagione estiva, dalle incisioni praticate sul fusto e sulle branche principali di alcune specie del genere Fraxinus. Le più antiche notizie sulla produzione di manna in Sicilia risalgono alla seconda metà del 1500, ma la coltura nell’isola si sviluppò intensivamente soltanto nel XVIII secolo. Dall’ultimo dopoguerra in poi la coltura ha subito un rapido declino, rimanendo relegata in ristrette superfici del comprensorio Madonita e, in particolare, nei territori di Castelbuono e Pollina. La composizione chimica della manna è molto complessa e variabile, in funzione della specie e delle cultivar dalle quali si estrae. Il principio attivo più abbondante è costituito dalla mannite o D-mannitolo, un alcool esavalente incolore, inodore e di sapore zuccherino noto anche con il nome di “zucchero di manna”.

Sono presenti, inoltre, diverse altre sostanze come glucosio, fruttosio, mannotriosio, mannotetrosio, elementi minerali, acidi organici, acqua e altri componenti minori. La manna costituisce una sostanza farmacologicamente importante perché viene utilizzata contro diverse patologie. Principalmente è usata per combattere i problemi di stitichezza e come purgante privo di azioni secondarie, sia in età infantile che adulta. Nei casi di avvelenamento la mannite produce un aumento della diuresi e favorisce così l’allontanamento delle sostanze tossiche dell’organismo attraverso i reni. In soluzioni ipertoniche viene utilizzata per rimuovere edemi polmonari e cerebrali. La manna è consigliata anche per l’allontanamento dei parassiti intestinali. In dosi moderate stimola la secrezione delle vie biliari. Inoltre, essendo ben tollerata dai diabetici, può essere utilizzata anche come dolcificante alimentare.

(Da una ricerca di Rosario Schicchi, docente del Dipartimento di Scienze Botaniche dell’Università di Palermo).

La raccolta della manna

La raccolta della manna avviene da metà luglio ai primi temporali (normalmente la raccolta si blocca col secondo temporale). Le incisioni, le “ntacche”, vengono eseguite con grande perizia tramite un apposito attrezzo, il mannaluoru o cutièdduâ manna e interessano l’intero spessore della corteccia fino all’alburno, per una lunghezza variabile da 5 a 10 cm, a partire da 5 cm di altezza dal suolo. La pratica attuale prevede che, sotto la linea dell’incisione, venga inserita una canaletta metallica alla cui estremità si fissa un filo di nylon tenuto in tensione da un piccolo peso, per favorire la colata della linfa attorno al filo. Dalle incisioni praticate (sia sul tronco che sui rami) stilla un liquido ceruleo, che a contatto con l’aria si rapprende e forma un leggero strato cristallino biancastro: la manna. Il liquido, gocciolando, forma una stalattite, il cannolo o manna in cannolomanna eletta, ovvero la parte più pregiata del prodotto. Se la secrezione è abbondante, o le condizioni climatiche non consentono una veloce solidificazione, il liquido cola fino a terra dove viene raccolto nelle pale di fico d’India, dove lentamente avviene la cristallizzazione. Si ottiene in tal modo la cosiddetta manna in sorte o manna di pala. La parte di linfa che si rapprende lungo il tronco costituisce invece la manna in rottame.

La raccolta viene eseguita nelle ore più calde della giornata. I cannoli vengono staccati grazie un archetto di legno flessibile tendente un sottile filo metallico o di nylon, mentre i residui rimasti attaccati al tronco vengono raschiati per mezzo di una paletta metallica. Dopo la raccolta la manna viene posta ad asciugare al sole in luoghi ben ventilati per una decina di giorni e poi si conserva in contenitori semiermetici. A metà settembre, quando c’è una bella giornata di scirocco leggero, viene riesposta al sole per una seconda, veloce, asciugatura.

(Questo articolo è stato pubblicato su La Madia Travelfood di dicembre)

Autore

Alessandro Ricci

Sotto i 40 (anni), sopra i 90 (kg), 3 figlie da scarrozzare. Si occupa di enogastronomia su carta e web. Genoano all’anagrafe, nel sangue scorrono 7/10 di Liguria, 2/10 di Piemonte e 1/10 di Toscana. Ha nella barbera il suo vino prediletto e come ultima bevuta della vita un Hemingway da Bolla.

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