L’uomo è ciò che mangia, scriveva il filosofo Feuerbach nel lontano 1862. Quello che ingeriamo non soltanto influenza il nostro corpo, ma anche la nostra mente, il nostro modo di pensare, la nostra visione del mondo. Siamo ciò che mangiamo, e non solo: siamo anche come lo mangiamo e le persone con cui lo mangiamo.
Di questo sono personalmente convinta da sempre e questo sembrano credere anche Victoria Clark e Melissa Scott, autrici del libro (uscito a dicembre per l’editore inglese Gilgamesh): Dictators’ dinners: a bad taste guide to entertaining tyrants. Che in un mondo di Masterchef, foodie, gourmet e gourmand (a proposito, ma cosa vuol dire gourmand?) hanno pensato bene di andare a riscoprire le abitudini alimentari dei peggiori dittatori del ventesimo secolo con risultati sorprendenti.
Volendo partire da casa nostra, scopriamo che, in perfetto spirito autarchico, il capo del fascismo Benito Mussolini era convinto che il cibo italiano fosse il migliore del mondo e che quello francese non valesse un fico secco. Il purè gli dava mal di testa, il suo dolce preferito era il classico ciambellone, mentre tra i piatti salati andava ghiotto per un’insalata di aglio crudo condita con olio e limone. La moglie Rachele racconta che, ogni volta che ne faceva una scorpacciata per cena, e capitava spesso, a lei non restava che lasciarlo solo e andarsi a rifugiare nella stanza dei bambini per la notte. Con l’andare degli anni il suo fegato si ingrossò e il colon prese a irritarsi, costringendolo così a modificare la propria dieta in chiave minimamente più salutista: aumentò così il consumo di carne, da lui mai particolarmente gradita, in particolare di pollo e coniglio.
D’altronde Mussolini non era l’unico tra i cattivoni ad avere problemi di digestione. Avete presente lo stress di essere un dittatore, con le relative enormissime responsabilità? Anche Mao e Hitler soffrivano di simili disturbi e li affrontavano come meglio potevano. In particolare Mao Zedong, appassionato carnivoro, è stato per tutta la vita ostaggio dei propri movimenti intestinali, che influenzavano i suoi viaggi in URSS a trovare Stalin (difficile trovare una toilette alla sua altezza in tutta Mosca) e di cui parla apertamente e allegramente nelle lettere di gioventù ai compagni di lotta.
Adolf Hitler, si sa, amava gli animali più degli uomini ed era tendenzialmente vegetariano, ma faceva spesso delle eccezioni. Occasionalmente mangiava infatti anche una pietanza a base di piccione ripieno di lingua, fegato e pistacchi, tra i suoi preferiti. Il capo del nazismo aveva una tale paura di essere avvelenato che a scopo precauzionale faceva assaggiare ogni suo piatto a 15 suoi fedelissimi, aspettando ben 45 minuti prima di mangiare lui stesso. Mentre il suo popolo era ridotto alla fame, il Fuhrer banchettava ad asparagi, salsa olandese, delicati brodini vegetali con gnocchi di semolino, riso, peperoni e stufati di verdure.
L’arcinemico di Hitler, il comunista Josip Stalin, era uno di quelli che oggi definiremmo un gran godereccio. Per essere un dittatore (un dittatore è sempre molto impegnato, giusto?), perdeva enormi quantità di tempo seduto a tavola a mangiare, bere, cantare e in generale fare casino. Più o meno come uno studente inglese in vacanza a Majorca, e ogni tanto ci scappava pure la baruffa. Il suo cuoco di fiducia era il nonno di Vladimir Putin (sul serio) e le sue cene potevano durare anche sei ore. Prediligeva la cucina tipica georgiana e faceva gran uso di ingredienti locali come noci, aglio, melograno e prugne. Secondo le autrici del libro, considerata la mole di cibo e alcol che ingeriva quotidianamente, non stupirebbe scoprire che fosse morto di un infarto piuttosto che del presunto avvelenamento all’età di 75 anni.
Gli aneddoti storico/culinari presenti nel libro sono tantissimi e non mancano foto d’epoca e ricette. Saddam Hussein amava mangiare a tutte le ore del giorno e della notte e gradiva che il suo cibo fosse il più fresco possibile; Muammar Gheddafi beveva grandi quantità di latte di cammello, che come potete facilmente immaginare era pressochè impossibile da digerire, come scoprì il malcapitato Tony Blair durante una visita in Libia nel 2004; il nord coreano Kim Jong-il aveva un debole per la zuppa di squalo, per il sushi e pretendeva che tutti i grani di riso fossero della stessa e identica dimensione; Fidel Castro amava mangiare (o devo parlare al presente perché è vivo?) cibo semplice come banane, aragosta e merluzzo, mentre il piatto preferito del portoghese Antonio Salazar, che era notoriamente tirchio e calcolava con precisione il costo di ogni singolo pranzo, erano le sardine grigliate con i fagioli (gli ricordavano di quando era un bambino povero ed era costretto a dividere una sardina a metà con il fratello). Il romeno Nicolae Ceausescu, infine, faceva infuriare i leader stranieri portandosi il cibo da casa in giro per il mondo e rifiutando ogni volta ciò che gli veniva offerto.
Nel complesso, un libro bizzarro, divertente e godibilissimo che unisce molto bene storia e cucina. Un consiglio? Non provate questi piatti a casa, lasciateli ai dittatori.
“Dictators’ dinner” è disponibile (purtroppo solo in lingua inglese) su Amazon.