Quando il Colfondo… non si deve capovolgere

da | Ott 3, 2016

Si sa: il vino (e non solo) vive di comunicazione. Difficile arrivare al grande pubblico parlando di legislazioni e regole, confini e amministrazioni. Imparando dai francesi stiamo intuendo che le denominazioni di successo parlano di territorio più che di vitigno (Brunello di Montalcino, non Sangiovese; Barolo, non Nebbiolo; Franciacorta, non Chardonnay).

Esiste però una sorta di zona d’ombra, quando si parla di Prosecco. Tutti immaginiamo Valdobbiadene, ma poi solitamente ci accontentiamo di un prosecco tout-court, sicuramente buonissimo. Ma che non necessariamente arriva da quel territorio ristretto e particolare che sono quei pochi comuni intorno al cuore della zona di produzione.

In aiuto arriva il nome Cartizze: un po’ per la fonetica secca (stile nome di cane da caccia), un po’ perché comunica eccellenza, punta qualitativa. Ma poi pochi conoscono le effettive differenziazioni dei territori.

Questa premessa per dire che questa volta sono stato proprio lì. A Valdobbiadene, da Miotto. Che nella vita fa, ovviamente Valdobbiadene.  Il suo stile? Morbidezze zero, ma uno stile secco, verticale, la bolla fine e persistente. Insomma, un Prosecco lontano anni luce dai prodotti presentati in tutti i migliori bar di Caracas…

Le caratteristiche le mantiene tutte, compresa quella sensazione retrolfattiva di atteggiamento zuccherino, tipica del vitigno Glera, qui però perfettamente gestita. Caratteristica, questa, che avvicina anche il consumatore abituato a bolle piû “importanti”.

Miotto

La cosa che più mi ha emozionato? Il territorio, le colline impervie con pendenze inaspettate. La cura nel gestire i vigneti e la forte attenzione nel dividere le varie etichette a seconda del cru di provenienza e quindi delle caratteristiche di terreno e affinamento.

Sulle note di degustazione, mi soffermerei il giusto, ma la mano del produttore (ricordiamo “secchezza e verticalità“), è una linea continua di coerenza che si ritrova in tutte le sue etichette, compreso il prosecco col fondo.

Curiosità. Noi ci aspettiamo che prima di servirlo, sia d’uopo capovolgere la bottiglia e mettere i lieviti in sospensione per rendere il prodotto più ampio e completo. Il buon Miotto, guardandomi con espressione di compassione, mi ha spiegato che per loro la situazione è storicamente diversa. Io mi sono sentito come un tedesco che a Capri mette il ketchup sugli spaghetti. “Quando mio nonno mi mandava in cantina a prelevare la bottiglia da mettere a tavola – mi ha detto – le scale le dovevo fare con calma. La volta che le ho fatte di corsa, ho preso uno schiaffone e sono stato redarguito perché la bottiglia non si scrolla, altrimenti si intorbidisce!

Non si finisce mai di imparare!

Autore

Stefano Albenga

Stefano Albenga è il mastro vinaio di riferimento per PapilleClandestine. Si narra che abbia un caveau con centinaia e centinaia di bottiglie di Romanée Conti, Bartolo Mascarello e Rinaldi sperso nel Monferrato. Quel che è certo, è che è fatto d'acciaio e nebbiolo.

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