Chissà se Camillo Sbarbaro avrebbe apprezzato la cucina di Alessandro Gilmozzi. Il ligure poeta e il cuoco trentino. Di certo, avrebbero finito a parlare di botanica, discutendo di quelle misteriose effervescenze, metà alga, metà funghi, che sono i licheni.
“Capisco, adesso, perché questa passione ha attecchito in me così durevolmente: rispondeva a ciò che ho di più vivo, il senso della provvisorietà. Sicché, per buona parte della vita, avrei raccolto, dato nome, amorosamente messo in serbo…. neppure delle nuvole o delle bolle di sapone – che per un poeta sarebbe già bello; ma qualcosa di più inconsistente ancora: delle effervescenze, appunto” scriveva Camillo Sbarbaro. Alessandro Gilmozzi, forse dal nonno botanico, ha tratto la stessa passione. Certo il lichene è il simbolo della sua cucina, di stanza a Cavalese, Val di Fiemme, Trentino.

El Molin: border line, Alessandro Gilmozzi, Riso (lumache, olio di betulla, fieno)Il suo El Molin, al centro del paese, era un tempo il mulino che serviva l’intera valle. Oggi è tra i più celebrati ristoranti della regione. La sua cucina è un percorso dritto e teso all’essenza di questa valle: il bosco. Un percorso ostinato e rigoroso. Non semplice, in certi passaggi, perché sovverte i concetti di buono e cattivo, equilibrato e scomposto. Ma intrigante, e appassionante: una cucina che parte dal naso, scombussola il palato, si allarga nella testa e solo a volte diventa pancia, godereccia pancia. Un work in progress continuo, riassunto nel menu Essenze, dieci assaggi (a 100 euro): una sorta di sfida, fin dall’incipit, Sotto la chioma dell’albero. Più che un piatto, un paesaggio, un viaggio e una scoperta, che Gilmozzi racconta così: “Ho studiato cosa mangiano cervi e lepri quando vanno a rintanarsi sotto la chioma dell’albero. Trovano radici e germogli. Così ho messo le rape dell’ultimo raccolto, rape piccole, di intensità diversa, conservate sotto la sabbia. Poi i pinoli di cirmolo e i germogli. Ho ricreato la terra con carbone vegetale e nocciole tostate. Ho marinato la carne di lepre con licheni, foglie di betulla e Riesling, in modo da creare la giusta acidità, e l’ho appoggiata sopra un tortino preparato con licheni, pinoli, mandorle. A fianco c’è la lingua del cervo salmistrata con aghi di abete, lichene islandico, sale e pepe. E ancora la neve, ricreata con schiuma di rapa e caprino”.

Destabilizza poi, con le sue note salate e amare e tanniche, l’Essenza di terra, un brodo che ha come base le bucce delle patate della valle e topinambur della val di Cembra, con l’infusione di lichene, lichene islandico, muschio, foglie di betulla, geranio odoroso, menta, melissa. Ed è ancora spiazzante il (doppio) rocher di foie gras, lichene di pino e polline di edera, integrato nel percorso del bosco con l’aggiunta di lichene, polline d’edera, miele di melo, sferificazione di miele. Felicità, sì, con il riso (lumache, olio di betulla e fieno): un risotto cotto solo con acqua di fonte, mantecato con burro al fieno (nel burro viene sminuzzato il primo taglio del fieno, quello più ricco), olio di betulla e lumache. Un piatto indimenticabile (“un viaggio che conduce dal campo d’erba al fienile” spiega Gilmozzi) che prima di tutto è profumo, poi risveglio, ricordo, piacere, palato, pancia. Prolungata dal godurioso krapfen d’anguilla brasata, maionese d’alghe e lattughe di mare, che recupera la tradizione degli allevamenti d’anguilla, presenti in valle fino ai primi del ‘900.

Dopo il delicatissimo temolo in abete rosso e la trota marmorata grigliata su braci di pigna, consommé wild e lichene islandico (dove il consommè wild è un brodo preparato con dieci tipi di carne) e un’infusione di lichene legnoso, ecco il camoscio cotto nel sale, con chips di funghi essicati e rape cotte sottovuoto. A chiudere, un macaron che è tutto contrasti, e poi il border line, già dal nome, paradigma di quest’esperienza: un dolce da gustarsi in due bocconi. “Ho lavorato con le gemme di larice, pino silvestre, abete. Ho preparato il terriccio con le gemme di abete e il mais della Val di Fiemme, rarissimo. Con miele di melo e topinambur ho fatto una piccola crema. Ho preparato un gelato al larice sul quale adagio cristalli di resina in polvere e un lichene candito. Ecco il borderline”. Ed ecco Alessandro Gilmozzi e il bosco in cinemascope.