La sardenaira dai Romani al Guinness

da | Mar 11, 2015

Il Guinness World Record ha detto no: la sardenaira realizzata a Sanremo ad agosto 2014 non è la più lunga del mondo.
Ma la vera notizia non è il parere negativo, sono le motivazioni, il perché del responso. La sardenaira di Sanremo non è la più lunga mai realizzata non perché qualcun altro, in qualche parte del mondo (magari a Badalucco), ne ha cucinato una lunga 1 cm di più. No: quella sardenaira non ha battuto il record perché, semplicemente, per i giudici di Londra, la sardenaira è un tipo di “pizza” e quei 26,8 metri di stesi la scorsa estate in piazza San Siro a Sanremo sono ben lontani dagli 1 km e 141,5 metri del record della pizza più lunga, detenuto dalla città di Tomelloso in Castiglia.

Ora, ci sarebbe molto da discutere sul valore e sul significato del Guinness dei primati, se esso sia solo un lungo elenco del nostro machismo o corrisponda poi ad un reale progresso dell’umanità. Ma lasciamo perdere: viviamo nel marketplace e avercelo più lungo, più grande, più pesante, più largo, più numeroso o più piccolo (a seconda del contest) in qualche modo ci aiuta, sopperisce al bisogno d’esser unici, ci fa godere dei nostri 30 secondi di popolarità.

La questione se la sardenaira sia oppure no da considerarsi una comune “pizza” non può invece essere trascurata e ci permette di parlare, a stomaco vuoto e mente aperta, di questa straordinaria ricetta.

Come la più comune pizza napoletana, la sardenaira, è un “prodotto da forno”. Per ora chiamiamola così, con questa locuzione freddina e un po’ informale con il solo scopo di presentare il prodotto. La ricetta è molto semplice: su una pasta lievitata, comune a quella della focaccia, si stende una coperta di pomodoro, olive taggiasche in salamoia, inframmezzate da spicchi d’aglio crudo, capperi e acciughe sottolio. A seconda della forma della “teglia”, il sottile tegame con cui la si inforna, può essere un disco o un monolite rosso fiammante, il cui spessore varia a seconda delle consuetudini della cucina. Capperi, acciughe e aglio possono anche essere tritati assieme, dipende dai casi.
All’apparenza siamo già abbastanza lontani da una comune pizza. E se l’odore durante la cottura può invece assomigliare a quello di una marinara o una Bella Napoli, con una fragranza di olive, aglio origano e acciughe, chi lo conosce lo distinguerebbe tra mille, fino a riconoscere addirittura il numero civico in cui la assaggiate con il dettaglio di un GPS.

Se la collocazione geografica della sardenaira è abbastanza precisa, la provincia di Imperia (ma nemmeno tutta, a Oneglia già si chiama pissalandrea e oltre capo Berta, a Diano Marina, Cervo, non se ne trova quasi traccia), più difficile è risalire alle sue origini cronologiche: la nascita della sardenaira si perde davvero nella “notte dei tempi”.

Qualche ipotesi però si può fare. Risale certamente al 1500 la suddetta pissalandrea: parente lontana con cipolla e così chiamata, si dice, in onore dell’ammiraglio Andrea Doria. La pissalandrea si fa ancora oggi a Imperia e a Nizza, due località che fino a Napoleone furono possedimenti piemontesi. Nelle zone che invece rimasero sotto il dominio di Genova, e cioè tutta la zona di Sanremo e Ventimiglia, non se ne trova quasi traccia e il dominio incontrastato è uno solo: quello della sardenaira.

Ma come per ogni cosa in Liguria, per scoprire le vere origini della sardenaira dobbiamo lasciare la costa e penetrare nelle valli che s’incuneano tra i monti. L’entroterra è un vero e proprio serbatoio di lingue, usi e costumi: da lì arrivano le olive, lì passano le mulattiere percorse dai mercanti che portavano le acciughe nel vicino Piemonte (vedi Nico Orengo, Il salto dell’acciuga).

In val Nervia, a Dolceacqua e Apricale, su fino a Isolabona, esiste la machetusa, forse la variante primigenia della sardenaira, la sardenara uno punto zero.
La machetusa è focaccia ricoperta di machetu, una pasta di acciughe fatta pestando acciughe, sale, olio e lasciata a macerare tutta l’estate, mescolando quotidianamente per 40 giorni in contenitori alti e sottili in terracotta o vetro chiamati arbanelle. Il tutto va ricoperto con abbondante olio d’oliva e tappato con un sasso di fiume per garantirgli di “respirare”.
Il machetu, anche quando fatto con le sardine, è chiamato “pasta di acciughe”: non esiste tuttora nel dialetto del ponente ligure una seria distinzione tra acciughe e sardine e forse non ci sarà mai.

Ed è ascoltando la lingua che possiamo fare un altro passo indietro nella storia della sardenaira.
Le terre del ponente ligure sono state tra le ultime ad essere assoggettate dai romani. I liguri, allora come oggi tribali, erano eternamente divisi tra Ingauni (centro più importante Albenga) e Intemeli (Ventimiglia): questi si allearono con Magone nelle Guerre Puniche e vendettero cara la pelle. Quando la potenza di Roma li soggiogò definitivamente, l’Imperatore Augusto innalzò il trionfale Trofée des Alpes ancora oggi visibile a La Turbie, sopra Monte Carlo. Gli intemeli, abili nella guerriglia ma disorganizzati, vennero in gran parte deportati o usati come mercenari, perché adattissimi alla guerra di montagna. La città di “Albion Intemelion” (città degli Intemeli) venne romanizzata in Ventimiglia e il ponente ligure divenne terra di confine, da cui, attraverso la val Roya, si potevano far giungere merci oltralpe.

Tutto questo per dire che a Ventimiglia e Albenga arrivavano navi stracariche (qualcuna, inabissatasi, è stata ritrovata vicino alla costa) di anfore con dentro il garum, una speciale pasta di acciughe macerate. Il garum era conservato in anfore di terracotta e, per quanto potesse essere repellente ai gusti di oggi, perché salatissimo e “piccante”, i ricchi romani ne andavano pazzi e adoravano spalmarlo sul pane.

Anche senza far correre molto la fantasia, il passaggio dal garum al machetu è davvero breve. Così sarebbe nata la machetusa. La sardenaira arriva subito dopo, con la scoperta dell’America, quando in Europa cominciò ad arrivare il pomodoro. Il pomodoro rosso, progressivamente, più per un senso di parsimonia tutto ligure che per questioni di gusto, cominciò a soppiantare il machetu sulla focaccia. Ed ecco nata la sardenaira.

Forse la sardenaira da esiste da secoli. Non è questo un record? Non credo che potremo leggerlo sulla prossima edizione del Guinness World Records!

Autore

Giacomo Revelli

Giacomo Revelli è ponentino e ciclista. Schivo come una lucertola, lavora come redattore web e dato che non gli basta scrivere di giorno, lo fa anche di notte: libri e fumetti fra cui "Nel tempo dei lupi" e "Bottecchia". Passa le domeniche a riparare muretti a secco, ma secondo noi lo fa solo per restare abbronzato

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