È forse uno dei piatti più semplici del mondo, a prima vista. Un po’ di uova in proporzione variabile, dentro qualche pezzo di salame, o formaggio, o eventualmente verdura abbandonata in frigo. E la frittata è fatta. Eppure ci sono frittate preziose, la cui ricette è custodita negli angoli bui delle cucine (o forse in fondo alla mente di chi le ha inventate). È il caso della celebre frittata di Ceva (Cn), diventata prodotto a denominazione comunale proprio per la sua storia atipica.
Inventata negli anni Trenta dai gestori del bar situato nella stazione locale, divenne nell’arco di pochi anni una merenda imprescindibile per i viaggiatori che passavano da questa cittadina sulla strada tra Torino e il mare. L’idea era semplice: inserirla in una rosetta, da proporre all’interno di uno speciale cestino da viaggio che veniva venduto ai viaggiatori che qui sostavano per il cambio della motrice. Merenda semplice e sostanziosa divenne particolarmente apprezzata negli anni Sessanta e Settanta quando in una domenica di sole erano centinaia i panini che si vendevano sul marciapiede della stazione. Il suo valore era tale che la ricetta, pare, fosse stata messa in vendita per qualche milione di lire, una cifra enorme per l’epoca.
Ancora oggi di questa frittata esistono tre versioni, dove l’ingrediente base è lo stesso: erbe spontanee delle montagne circostanti, raccolte con pazienza dagli associati della Pro Loco che portano questa frittata profumatissima in giro per il mondo. E il mondo presto la conoscerà in grande stile: da anni infatti è in preparazione la padella che dovrà accogliere la frittata più grande del mondo, da tre metri di diametro e qualche migliaio di uova. Una sfida che però forse neppure serviva. Del resto quale altra frittata può vantare una ricetta che negli anni Settanta valeva più di una macchina?