È uscita ieri, attesissima, la biennale Guida alle birre d’Italia di Slow Food, edizione 2017. Quasi seicento pagine, curate come sempre da Eugenio Signoroni e Luca Giaccone (coadiuvati da squadre di assaggiatori per ogni regione, per la Liguria capitanati dalla nostra inossidabile Barbara Boero), praticamente la bibbia della birra italiana, una fotografia perfetta del movimento artigianale nostrano selezionato attraverso 2.600 assaggi e panel multipli.
I premi alle birre liguri
Rispetto al 2015 si confermano Scarampola e Birrificio Finalese, ma soprattutto fa cappotto Maltus Faber che raddoppia le birre premiate, da tre a sei. Entrano nell’olimpo del gusto la Bianca, la Amber Ale e la Triple. Bravi Fausto e Massimo!
BIRRE SLOW
Extra Brune – Maltus Faber, Genova
BIRRE QUOTIDIANE
Apa – Birrificio Finalese, Finale Ligure (SV)
Amber Ale – Maltus Faber, Genova new entry!
Bianca – Maltus Faber, Genova new entry!
Blonde – Maltus Faber, Genova
Birra del Lupo – Scarampola, Millesimo (SV)
GRANDI BIRRE
Imperial – Maltus Faber, Genova
Triple – Maltus Faber, Genova new entry!
St. Amè – Scarampola, Millesimo (SV)
PREMI AI BIRRIFICI
Maltus Faber – chiocciola
Birrificio Finalese – fusto
Scarampola – bottiglia
Il punto di Eugenio Signoroni
Il curatore della Guida, in una bella intervista rilasciata a Marco Bolasco su Piatto forte, fa il punto della situazione sulla scena della birra artigianale italiana. Racconta come hanno redatto la guida, ma anche come si è modificato il panorama dei birrifici negli anni, e quale secondo lui sono gli elementi vincenti per il futuro.
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Quanto il fenomeno birra artigianale può ancora espandersi?
La verità è che non lo sappiamo, a volte pensiamo che quello arrivato sia l’anno in cui la crescita si ferma, ma fino ad oggi non è mai stato così. Peraltro il fenomeno specifico delle Beer Firm sta crescendo a doppia cifra, perché permette di produrre senza avere l’impianto. Non è costante invece la crescita del consumo, perché la quota pro-capite non cresce granché. Quello che sicuramente è avvenuto è invece che la birra artigianale ha rosicchiato spazio all’industria. In Italia forse meno che altrove, ma è successo. Probabilmente però i margini più ampi di crescita per i birrifici italiani sono all’estero.
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Forse dopo una serie di anni di birre complesse e alcoliche si sta tornando alla semplicità. Avviene in tutti i settori ma per la birra il concetto di bevibilità è ancora più forte. Non è che la critica, com’è avvenuto nel mondo del vino, ha premiato per anni prodotti “muscolari”, “da competizione”, e oggi deve fare un po’ di autocritica?
Secondo me non ha sbagliato, allora era una necessità. Il mondo della critica (e il pubblico) quando c’è stata la vera rottura fra industria e artigianato birrario ha cercato birre che fossero molto caratterizzate, quasi “dirompenti”, immediatamente riconoscibili come diverse. Altrimenti non sarebbe stato facile capire le differenze. Oggi il fatto è che si è talmente arrivati a un momento di mode e tendenze estremizzate che l’artigiano più superficiale non sa più cosa inventare per “farlo strano”, per stupire (l’ultima è una birra realizzata con i sapori lattici vaginali di una modella della Repubblica Ceca), mentre ovviamente il pubblico torna al concetto di birra semplice, da bere tutti i giorni. Su questo abbiamo costruito anche il riconoscimento di “birra quotidiana”, esplicitando in guida quello che stavamo cercando. Sono birre in cui la piacevolezza deve essere più importante dello stupore al banco d’assaggio.
Le birre artigianali, andrebbero valorizzate sempre di più, proponendo anche abbinamenti con i piatti di tutti i giorni.