In questo locale non si accettano prenotazioni, in questo locale non si possono fare foto, modifiche al menù (pizze), in questo locale alle sette e mezzo di un venerdì sera sei già fuori in coda che aspetti il tuo turno.
In questo locale aspetti al freddo come le pecore e mentre ti chiedi perché lo fai, finalmente, arriva il tuo turno. “Siamo tre!”, “Ok venite”.
Appena seduti l’oste dice: “Non eravate tre?”, “Sì sì un minuto e arriva, è dal tabacchino”, “Potevate dirlo però”, “Ma cosa? Tra trenta secondi è qui”, “Magari facevamo entrare degli altri prima”, “Ma tra trenta secondi è qui!”.
In questo locale mangi con la rabbia dentro, giuri che non tornerai più, e il mese dopo sei di nuovo lì. Anche il consumatore genovese avrebbe bisogno di un po’ di psicoterapia.
Episodi come questo, affollano il vissuto dei genovesi. Lo sa bene l’amico giornalista punkettone Diego Curcio, che ha aperto un blog – A quest’ora? Perché è sempre troppo tardi per mangiare qualcosa al ristorante – dove raccoglie le sue sventure con i ristoranti della città. Non è un blog denuncia, come dice l’autore, ma di riso amaro, di ironia “papilla”, se ci possiamo permettere. Mi immagino la faccia di Diego che, una sera, si sente dire: “A quest’ora ormai (alle 22.15 di sabato sera, ndr) puoi prendere solo i secondi. Per i primi niente da fare: abbiamo già spento il fuoco sotto l’acqua”.
Ecco, appunto. Bravo Diego, respect!