Zythos 2011

da | Mar 11, 2011

Non saprei da che parte cominciare per raccontare un festival con più di 200 birre in degustazione per 60 birrifici, migliaia e migliaia di appassionati provenienti da mezzo mondo. Siamo in Belgio, weekend del 5-6 marzo 2011: a Sint-Niklaas (poco) ridente cittadina nei dintorni di Anversa. È qui che si svolge ogni inverno da otto anni lo Zythos Bier Festival, un evento planetario di cui cercherò nei prossimi minuti di darvi una pallida impressione.

La pattuglia di zithaioli – tutti verginelli – era composta per parte italiana dal sottoscritto e dal mio storico compagno di bevute proviamo-tutti-i-cocktail-della-lista Claudio; e per parte francese dai miei due cognati, Julian e JC, dal suocero JPE e dal temutissimo zio Bruno, gestore di un estaminet meraviglioso nonché generoso bevitore senza fondo, col rampollo Guillaume, un metro e novanta di puro DNA al malto d’orzo.
Il programma prevedeva partenza da BGY con volo Ryanair (50 euro anda e rianda, viva Michael Leary!) il sabato mattina, pernotto all’Ibis di Sint-Niklaas e ritorno la domenica sera da Charleroi.
Le regole d’ingaggio erano semplici:
1) non bere nulla prima di varcare la soglia del Festival, per preservarci;
2) provare ad assaggiare almeno una ventina di birre con criterio, prima di sbracarci.
Nessuno di questi due propositi ha resistito più di un quarto d’ora.

Alle cinque del pomeriggio la capienza della “sala delle feste” è già stata raggiunta e il solerte servizio d’ordine, munito di contapersone, aspetta che esca gente per farne entrare altrettanta: due escono – due entrano, uno esce – uno entra, e via così.
Dentro, una bolgia assordante.

Il funzionamento dell’ambaradan è semplice: l’ingresso è gratuito, per tre euro cauzioni un bicchiere, e con 1,20 compri un gettone. Ogni gettone vale una degustazione da 15 cl, cioè fino alla tacca indicata a metà bicchiere. Sfortunatamente per i miei propositi degustatori, nessuno ti riempie il bicchiere meno che al bordo: ogni spillatura è di circa 25 cl, il che comporta un drastico calo di autonomia bevitoria prima dello sbracamento. Anche perché se lo zio Bruno ti vede svuotare il bicchiere in maniera illegale (cioè senza berlo), te lo strappa di mano e te lo fa riempire: la birra qui non si butta via.

La situazione logistica è decisamente problematica. Si fa fatica a camminare, non c’è un tavolo vuoto e nemmanco una sedia, fa un caldo pazzesco e il rumore è da discoteca: ogni volta che si ordina bisogna quasi urlare. Per di più essendo un gruppetto dobbiamo fare attenzione a non disperderci.
Scopriremo solo in un secondo tempo l’esistenza di alcuni gadget essenziali, che si trovavano all’ingresso: il portabicchiere da collo e – soprattutto – il programma e la cartina. Errori da pivelli. L’unico jolly che abbiamo azzeccato è stato pranzare tardissimo, creando un buon effetto tampone.
Abbiamo sì il listone scaricato dal sito, dove ho sottolineato quella trentina di birre da non perdere, con un più o meno corretto ordine degustatorio – dalle kriek per finire con gli spessoni belgi da 10° – ma seguire gli stand qui dentro è davvero complesso e girare con il foglio in mano praticamente impossibile. Nel gruppetto poi i gusti sono differenti: i francesi preferiscono le chiare corpose, gli italiani le saison e le lambic. Finisce che usiamo la tecnica d’attacco degli Unni: individuato lo stand, ognuno prende la birra che preferisce e poi ce le scambiamo tutte.
Ogni tanto una ola ruggente attraversa la sala: succede tutte le volte che qualcuno frantuma un bicchiere.

Girare intorno alle due “isole” dove sono organizzati gli stand è come leggere cento menù di pub: nomi noti, nomi sconosciuti, vecchi ricordi di bevute, birre di cui ha sempre letto e mai bevuto.
La birra fa il suo dovere, dopo qualche bicchiere la situazione comincia a rilassarsi: il rumore si fa accettabile, il fendimento della folla sembra adesso semplicissimo, le code agli stand sono smaltite in un minuto massimo. In una parola, ci si diverte.
E’ sempre così, a tutte le fiere: entro col sacro fuoco di quello che vuole ferocemente perseguire il proprio programma e la vivo male. E invece basta lasciarsi trasportare per godersela, e anzi, sono proprio gli incontri casuali quelli migliori. Take it easy, accidenti a me.

E le birre?
Eccole. In rigido ordine sparso.

De Ranke: Kriek***, Saison de Dottignies** e XX-Bitter **. Nessun particolare entusiasmo, buona la kriek ma non era serata da kriek.
Blaugies: Saison d’épeautre***, una saison po’ originale, acidina con profumi di cereale.
Forrestinne: Forestinne Mysteria***, bella birretta, dallo svolgimento classico con inizio maltoso e chiusa amara. Beverina e adeguatamente fruttata.
Rulles: Rulles estivale****, ah, che buona. Semplice e complessa allo stesso tempo: da berne a litri senza pensarci eppoi fermarsi ogni tanto a inseguire qualche aroma. Fruttata, secca, amarognola. Grande dix*****, dieci gradi di amalgama perfetto, fra il dolce tono mielato sostenuto dal grado alcolico, il gioco dei luppoli che regge l’astringenza, una bollicina che solletica il giusto.
Oud Berseel: Oude Lambik Oud Berseel*****, straordinaria lambic, una delle birre più buone della serata (a chi piace il genere). Leggermente meno armonica di quella di Boon, si sente forse appena un pochino troppo il legno.
Malheur: Cuvée Royale**, birra champagnizzata (e strombazzata). Not my stuff. Malheur 8 Blond***, una delle novità del festival, classica bionda belga ma giocata sui luppoli invece che sui malti. Merita un riassaggio con calma. Malheur 10****, ouch, qui si sale di gradazione: perlage beverino, come la sorella minore ha un naso agrumoso, in bocca è classicamente maltata, il finale amaro ben sostenuto dal tenore alcolico per niente aggressivo. Gran bella birra.
Cazeau: Saison Cazeau****, una delle sorprese casuali della serata. Una saison pacifica, sicura di sé ma non aggressiva, con un bel treno retrolfattivo. I ragazzi sono fra i pochi con cui siamo riusciti a scambiare parola.
Jandrain-Jandrenuille: IV Saison** e V Cense***. Anche loro giovani e disponibili alla chiacchiera. Sono stati una delle prime bevute, erano nel “programma”: lì per lì non mi avevano colpito, ma successivamente confrontandoli con gli altri li ho capiti. Meriterebbero una seconda chance, il giudizio “normale” è probabilmente colpa mia.
Boon: Boon oude lambiek*****, che dire, capolavoro. Rispetto a quella di Oud Berseel è più rotonda, ammiccante, profumata.
‘t Hoftbrouwerijcke: Of love and regret***, una saison floreale, quasi erbacea, tutta giocata sui toni delicati: complessa ma non difficile. Sfortunatamente una delle ultime e dopo le birre “pese”. That’s life.
De Dolle: cosa faccio, do le cinque stelle politiche per evitare di incorrere negli strali dei fan? Beh, la Verse vis** stupisce: torbida, pallidissima, senza luppolo, acida. Il nome, “pesce marcio” o qualcosa del genere, “pesce fresco” ci hanno spiegato che si riferisce al fatto che come il pesce vada consumata nel giro di due giorni. Da bere su una spiaggia, lì gli aumenterei le stelline. Boskeun***** strong ale belga da 10°: tutto quelle che ci si può attendere dal genere ma perfettamente bilanciato, una bocca piena e dolce che però non stanca.
Glazen Toren: Canaster winterscotch****, quasi 9° per questa scotch ale dai sentori tostati e cioccolatosi, in bocca è asciutta ma l’alcol si sente tutto. Davanti al focolare.
Smisje: Smiske R-Ale**** profumata e una splendida bocca aromatica, fresca, luppolosa e amaricante.
De Graal: De Graal Blond***, la birra belga ideale, se avete in mente una Leffe. Grande successo nel nostro gruppetto.
Lefebvre: Hopus**, non era il contesto adatto. Buona è buona, amara è amara, ma per i miei gusti troppo bollicinosa.
De Dochter van de Korenaar: Embrasse oak aged single cask peated malt***, a metà tra una birra trappista e un whisky torbato, anzi, quasi più quest’ultimo. Nice try, ma ce n’era bisogno?
Belgobeer: Luppo****, una stella in più per aver retto bene il confronto nonostante sia stata una delle ultime: luppolata ma senza prevaricare, gradevolmente fruttata e con una nota beverina che abbiamo apprezzato molto.
Bastogne: Trouffette Blonde***, altra classica bionda belga, poco alcolica, ma con qualche piccolo tocco in più come il sentore leggermente agrumato e la chiusa amara. Di quelle da berne a litri, con la pizza.

Autore

Giulio Nepi

44 anni, doppio papà, si occupa da aaaaanni di comunicazione web. Genovese all’anagrafe ma in realtà di solide origini senesi, ha sposato una fiamminga francese creando così un incasinato cortocircuito di tradizioni enogastronomiche

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