Locksmith, secret bar a Genova

da | Dic 11, 2015

Nessuna insegna. Sul portone verde, accostato, sono attacchinati manifesti di serate prossime venture, disseminate in città. Basta spingerlo, e si accede a un corto corridoio: pareti bianche, sedie appese. C’è un’altra porta, chiusa a chiave. È l’ultimo passaggio, prima di entrare nel locale.

All’interno, una saletta si stringe attorno al bancone, semplice. Un paio di poltrone vintage, qualche sedia, un tavolino. E un vecchio frigorifero che conserva al fresco vermouth e birre. Scesi due gradini, si passa in una seconda sala, che si chiude su una vetrata nascosta da una serranda abbassata. Non è un luogo elegante, non si respirano atmosfere retro’. Piuttosto, la complicità di certi luoghi occupati.

È il Locksmith (il fabbro che duplica le chiavi, in inglese): un secret bar, come altri hanno aperto nelle principali città italiane. Luoghi di cui non esiste indirizzo pubblico, senza telefono, che viaggiano con il passaparola. Possono essere speakeasy rilucenti di atmosfere proibizioniste, circoli privati, o bar veri e propri come nel caso del Locksmith, che si nasconde nei vicoli genovesi, e non saremo noi a svelarne l’indirizzo. Denominatore comune: passione per l’universo dei cocktail.

Lo ha inaugurato meno di un mese fa Davide Volterra, 26 anni. Diverse esperienze alle spalle – il suo primo suo bar, il Lebowski (poi trasformato in 3monkeys mojito House), lo ha aperto a 22 – e questa novità in fase di calibrazione. Annunciata, con una geniale strategia di marketing a bassissimo costo, da sedie sparse misteriosamente per il centro della città, che molto hanno fatto parlare.

Il Locksmith nasce con l’idea di esprimere un nuovo approccio al bere miscelato nel cuore della movida genovese. Un luogo non sostenuto, dove non bisogna essere per forza esperti di cocktail, dedicato a chi non vuole disfarsi di chupiti a un euro. Un luogo caldo e familiare, dove rilassarsi. Ecco perché ho pensato alle sedie come forme di comunicazione: perché qui ci si siede, a differenza della maggior parte dei locali della movida”.

La filosofia “easy” si declina in una carta cocktail estremamente ridotta – sono 8 i drink, scritti a gessetto sull’ardesia (prezzo 6-7 euro) –, e la base preferita è il rum, distillato più “immediato” di whisky e gin. Ne è esempio lampante il Rum Sweetea (la ricetta è sotto), un twist al rum che riprende la radicata tradizione americana di miscelare cocktail dissetanti nati dall’unione di bourbon e tè.
La cambusa, però, è già di buon livello, con prodotti ricercati.

Ma il mio divertimento più grande, oltre la carta, è quella di sperimentare con i clienti nuovi cocktail, nati a quattro mani. Per questo c’è un quaderno, dove ci segniamo la ricetta e tutte le sue evoluzioni successive”.

Fuori carta, ovviamente, si possono ordinare i grandi classici (io ho provato un Negroni con Campari, Carpano Classico e Bombay e un buon Manhattan). Ci sono cinque o sei bottiglie di vino (valide), e tre birre (molto) commerciali. Un consiglio: evitare mercoledì, venerdì e sabato sera, quando è più affollato, per godersi (anche) la buona playlist scelta dal titolare.

Rum sweetea
3 oz infuso nero tè nero alla vaniglia dolcificato
½ lime
½ oz sciroppo di zucchero
1 oz ½ rum Bacardi Carta Oro

Tecnica shake and strain. Servire in un bicchiere fantasia con ghiaccio.

Il Locksmith resterà chiuso fino alla metà di gennaio. Per info, consulta la pagina fb del locale.

Autore

Alessandro Ricci

Sotto i 40 (anni), sopra i 90 (kg), 3 figlie da scarrozzare. Si occupa di enogastronomia su carta e web. Genoano all’anagrafe, nel sangue scorrono 7/10 di Liguria, 2/10 di Piemonte e 1/10 di Toscana. Ha nella barbera il suo vino prediletto e come ultima bevuta della vita un Hemingway da Bolla.

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