I cocktail della vecchia New Orleans

da | Lug 29, 2015

Ci sono luoghi mitici ed evocativi, come Wimbledon per il tennis, Los Angeles per la settima arte, Königsberg per la ragion pura, Salisburgo per le Mozart-Bonbon. Per chi ama bere miscelato, alle radici di quest’arte, c’è un’intera città, adagiata sulle rive del Mississippi, nel profondo sud degli United States of America. È New Orleans, la “The Big Easy” della Louisiana, culla e rifugio del jazz, dispensatrice di buone bevute.

Fondata dai francesi nel 1718, ceduta agli spagnoli nel 1763, tornata ai francesi stessi nel 1801, New Orleans, come tutte le città di porto è stata un crogiuolo di popoli, che si sono mescolati al ritmo di quel shaker vigoroso che è la Storia: creoli francesi e nativi americani, neri che lavoravano come schiavi nelle piantagioni, spagnoli e italiani, soprattutto dalla Sicilia, giunti qui per fare i pescatori, negli anni ’80 dell’Ottocento.

Tra XIX e XX secolo, New Orleans era una città portuale di grande importanza commerciale: all’ombra dei suoi ricchi alberghi riposavano e si rinfrancavano uomini d’affari provenienti da ogni parte del mondo. Si ritrovavano nel cuore della città, nel Vieux Carré (che ha dato il nome di un grande cocktail, 1/3 rye whiskey, 1/3 cognac, 1/3 vermouth rosso, più ammennicoli vari), il quartiere francese dove aprivano le porte – e in molti casi ancora le aprono, con un filo di polvere addosso e un’aria molto vissuta – i migliori ristoranti. E per ogni ristorante c’era un cocktail bar, famoso per un particolare drink.

Allora i cocktail si bevevano soprattutto al mattino. Erano generalmente drink forti, decisi, senza succhi e sciroppi, che davano subito la carica. Come il Sazerac, considerato il primo drink della storia degli Stati Uniti, nato ovviamente sulle sponde del Mississippi, dove si preparava inizialmente con cognac francese e che deve la sua nascita ad Antoine Peychaud, un creolo di origini francesi, che da Haiti si trasferì a New Orleans, aprì una farmacia (nel 1838) e inventò un bitter, il Peychaud’s bitter appunto, considerato un toccasana dell’epoca. Alla sera, si riuniva con gli amici nel retrobottega del suo negozio e proponeva cognac con qualche goccia del suo bitter. E siccome lo serviva nel portauovo, che in francese si dice coquetier, a New Orleans si vantano che dalla storpiatura della parola francese nasca il termine cocktail. Ma è solo una leggenda, poiché la prima traccia scritta del termine cocktail risale al 1806. Oggi il Sazerac si prepara con il rye whiskey, che ha sostituito il cognac già dopo la metà dell’800, quando la guerra di secessione americana rese difficili gli approvvigionamenti del distillato francese.

Per parlare di New Orleans – la città di allora e la città di oggi – bisogna interpellare Dom Costa, bartender internazionale con 40 anni di esperienza. Uno che ha come biglietto da visita una finta banconota da un milione di dollari con la sua effigie, che ha lavorato ovunque e che è stato a New Orleans più volte.

Dopo l’uragano Katrina del 2005, la città è cambiata. Rispetto a una ventina di anni fa la differenza salta agli occhi. Bourbon street, la via centrale del Vieux Carré è diventata una piccola Las Vegas. All’ingresso c’è Lucifero e all’uscita Belzebù, e in mezzo succede di tutto. Ci sono locali che preparano i famigerati Hand Granade e Shark Attack, due cocktail di recente invenzione che non sono senz’altro drink di qualità, però piacciono. La gente si diverte. Soprattutto con lo Shark Attack: cominciano ad azionare sirene e fischietti, lo decorano con uno squalo di gomma, e dentro ha un poco di granatina, che richiama il sangue. Tutto molto pulp. Mentre l’Hand Granade è una ricetta segreta, ma si sa che contiene un liquore al melone, vodka, succo di lime e rum. Ormai questi due cocktail fanno parte dello scenario di New Orleans, come il Sazerac e il Ramos Fizz, il Café Brulot Diabolique e il Vieux Carré, il Grasshopper e l’Hurricane”.

Una città aperta 24 ore su 24, New Orleans. Dove solo il sorgere del sole dà il triplice fischio alla serata e a metà mattina la grande ruota del divertimento ricomincia il suo giro. Ma non doveva essere assai diverso 100 anni fa. “Il Ramos Fizz era il classico cocktail del giorno dopo, da bersi dopo le abbondanti libagioni della sera prima – racconta Dom Costa -. Era talmente popolare che durante il carnevale del 1915, al Meyer’s Table d’Hotel Intenational, dove lo preparavano, dovettero prendere 30 barman perché non riuscivano a soddisfare tutta la clientela. Anche perché si doveva shakerare a lungo: c’è chi dice 12, chi 15 minuti. I 30 barman si passavano di mano in mano gli shaker per far sì che l’ultimo avesse il prodotto finito, come una catena di montaggio continua”.

Ce ne sono a centinaia di storie e aneddoti così, e la leggenda di New Orleans ha ripreso nuova linfa da quando – prima edizione nel 2007 – ospita il Tales of the cocktail, che è la principale manifestazione sul bere miscelato del mondo, che si svolge in estate (quest’anno dal 15 al 19 luglio) e attrae circa 15000 addetti ai lavori e si svolge all’Hotel Monteleone, di proprietà di una famiglia di origini italiane. Del 2008, poi, è l’inaugurazione del Museum of the American Cocktail.

Due motivi per andarci davvero, a New Orleans. E se capita, andiamo al 529 di Royal Street, dove Antoine Peychaud ebbe la sua prima farmacia, dove tutto cominciò, e salutiamolo, con un Sazerac in mano. Ci sarà grato, credo.

Dom Costa alle prese con il Sazerac

SAZERAC
5 cl di rye whiskey
1 cl di assenzio
1 zolletta di zucchero
qualche goccia di Peychaud’s bitters

La particolarità di questo drink è che si prepara con due bicchieri old fashioned. Mentre il primo si riempie di ghiaccio, nel secondo si prepara il cocktail, iniziando col mettere la zolletta di zucchero saturata di bitter e battuta col pestello. Dopo si versa il rye whiskey, mescolando bene. Tolto il ghiaccio dal primo bicchiere, lo si profuma con assenzio nebulizzato e infine si versa la miscela del secondo bicchiere.

 

Ramos Fizz

RAMOS FIZZ
Inventore: Henry Ramos, 1888
4,5 cl Gin
1,5 cl succo di lime fresco
1,5 cl succo di limone fresco
3 cl sciroppo di zucchero di canna
6 cl crema di latte (panna)
1 albume d’uovo
3 gocce di acqua di fiori di arancio
2 gocce di estratto di vaniglia
Fever Tree soda a colmare

Versare gli ingredienti (eccetto la soda) nello shaker, shakerare senza ghiaccio (dry shake) per due minuti, aggiungere il ghiaccio e riprendere a shakerare con molto vigore (hard shake) per alcuni minuti. Versare in un bicchiere highball senza ghiaccio e aggiungere la soda per completare.


Articolo pubblicato sulla rivista “A Tavola” – mese di maggio

 

Autore

Alessandro Ricci

Sotto i 40 (anni), sopra i 90 (kg), 3 figlie da scarrozzare. Si occupa di enogastronomia su carta e web. Genoano all’anagrafe, nel sangue scorrono 7/10 di Liguria, 2/10 di Piemonte e 1/10 di Toscana. Ha nella barbera il suo vino prediletto e come ultima bevuta della vita un Hemingway da Bolla.

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