Il mito del Daiquiri

da | Feb 19, 2016

Welcome, sussurra il daiquiri, abbandonati al mio spirito.
La coppa è ghiacciata; il liquido racchiuso è ben freddo, e dissetante, e armonico nella sua asprezza piacevole. Come un uppercut che non vuol decretare il knockt-out, ma tramutarsi in una carezza papillare, da desiderare ancora, prolungare a lungo. È la magia del daiquiri, dove si mescolano il sole di Cuba e il buio delle sue miniere, e gli ancor più oscuri e opachi intrecci di guerra e spionaggio che hanno caratterizzato quest’isola.

Nel 1896 – o forse è il 1905, dopo qualche drink la gente non ricorda – l’ingegnere Pagliuchi è a Cuba, in visita a una miniera di ferro, vicino ad un villaggio chiamato Daiquiri. Qui l’ingegnere americano Jennings Cox, manager della Spanish American Iron Company, lo accoglie miscelando quel che ha a disposizione: del rum bianco, qualche lime, dello zucchero bianco di canna. Un po’ di ghiaccio nello shaker, e il drink è pronto. Eccellente! esclama Pagliuchi, proponendo Rum sour. come nome per la neonata bevanda. Troppo banale, per un cocktail così buono. Meglio daiquiri, come quell’esotico villaggio dove – con tutta probabilità – qualche indigeno avrà già sperimentato un intruglio simile. E attenzione all’accento: che per alcuni cade sulla prima i (daìquiri, secondo il barman Walter Gosso) e per altri sull’ultima (daiquirì, secondo il nume Dom Costa), ma non sulla seconda, come siamo abituati a pronunciare.

Altri, invece, dicono che il daiquiri sia nato nel 1898, dall’intuizione di un marine americano sopravvissuto all’affondamento della nave americana Maine, nel porto dell’Avana. Sbarcato a Daiquiri, il soldato entra in un bar dove il rum si beveva liscio, lo fa allungare con succo di lime e aggiunge zucchero. Cambia poco: epoca, ingredienti, geografia sono i medesimi.

Questo rapporto tra Cuba e Stati Uniti è destinato a durare a lungo. 1919: il proibizionismo, negli States, è legge. Gli americani si ritrovano a bere di nascosto negli speakeasy – bar camuffati ed illegali. Oppure a viaggiare sino a Cuba, che in poco tempo diventa il grande bar degli yankee. Tanto che sui voli di linea Pan Am – appena dopo il decollo – venivano distribuiti i menu del Floridita e della Bodeguita del Medio, due bar dell’Avana leggendari, perché negli anni a venire, anche dopo il 5 dicembre 1933, fine del proibizionismo, frequentati da divi e intellettuali del calibro di Rocky Marciano, Tennessee Williams, Marlene Dietrich, Graham Greene.

Racconta la leggenda che Ernest Hemingway, entrato per la prima volta al Floridita per espletare i suoi bisogni, non si lasciò scappare il primo daiquiri della sua vita. Lo apprezzò ma in seguito lo volle senza zucchero e con doppio rum. Ecco nato il Papa Doble, il daiquiri alla maniera di Hemingway, che arrivava a berne fino sedici al giorno, due bicchieri in mano alla volta, e chissà quale storia in testa. Alla guida della Cuna del Daiquiri (la culla del Daiquiri), c’era il catalano Constantino Ribailagua Vert, “El Grande Constante”, figlio di pescatori, emigrato a Cuba per fare il cantinero, il barman. Un uomo di poche parole, ma di grande fascino; uno che nella sua vita ha dichiarato di aver servito 10 milioni di daiquiri, e scusate se sono pochi.

Nella carta di Ribailagua si trovavano cinque versioni del daiquiri: la n°4 era il daiquiri “hielo frapé” con aggiunta di Maraschino e shakerato con ghiaccio tritato e non a cubetti. Ribailaigua è l’inventore anche dell’Hemingway Special (chiamato allora Floridita Special), che impone l’aggiunta di succo di pompelmo e maraschino: leggermente torbido e colorato, come “il mare là dove l’onda si stacca dalla prua di una nave e si rovescia quando la nave fila a trenta nodi”.

DAIQUIRI (ricetta IBA)
50 ml rum Bianco
25 ml lime fresco
2 cucchiaini di zucchero di canna bianco

Si prepara nello shaker e si versa con double strainer in una coppetta da cocktail ben raffreddata.

DOÑA AMALIA (ricetta di Walter Gosso)
50 ml Bacardi Heritage
25 ml dry curaçao Pierre Ferrand
15 ml lime fresco
10 ml sciroppo di guajava

Si prepara nello shaker e si serve in una coppetta raffreddata, guarnita da una fetta di arancia.

articolo pubblicato dalla rivista “A Tavola” (agosto 2015)

Autore

Alessandro Ricci

Sotto i 40 (anni), sopra i 90 (kg), 3 figlie da scarrozzare. Si occupa di enogastronomia su carta e web. Genoano all’anagrafe, nel sangue scorrono 7/10 di Liguria, 2/10 di Piemonte e 1/10 di Toscana. Ha nella barbera il suo vino prediletto e come ultima bevuta della vita un Hemingway da Bolla.

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