Come godersi Barbaresco (e le Langhe)

da | Nov 4, 2014

Il periodo migliore per visitare le Langhe è proprio questo, tra fine ottobre e inizio novembre, quando la vendemmia è terminata da poco e le vigne sono uno spartito di arancioni, rossi e gialli dalle sfumature quasi infinite.  Quando si possono godere le ultime giornate di sole da mezze maniche, oppure la malinconia ovattata di un’aria nebbiosa che ridefinisce i confini del paesaggio.

Nell’aria c’è il profumo del tartufo, e nei paesi c’è clima di festa. È l’ora della bagna caoda, del bollito misto, del brasato, della finanziera. Insomma, di quella cucina autunnale e sostanziosa che è Piemonte. E che si concilia con una buona bottiglia di Barbaresco, il vino nato nel 1894 da un’intuizione di Domizio Cavazza, preside della Regia Scuola Enologica di Alba, che creò le “Cantine Sociali di Barbaresco”, riunendo nove produttori e cominciando a vinificare e denominare il vino con il nome del paese.

E per un buon Barbaresco, dove andare, se non nel paese che regala il nome a questo vino? Barbaresco – il borgo – si adatta bene alle strofe di una canzone scritta da Gianni Mura, e cantata da Paolo Frola, medico condotto di Rocchetta Tanaro, e chansonnier per vocazione. “Il mio paese non è una sorpresa, son dieci vigne, sei case, una chiesa“.

A dirla tutta, il borgo di Barbaresco ha più cru che vie. In verità, una sola è la via, che si apre con l’Enoteca Regionale del Barbaresco – collocata all’interno di una chiesa sconsacrata, e si chiude con la chiesa Parrocchiale e la torre protesa verso la piana del Tanaro, distesa ai suoi piedi. Nel mezzo, un paio di ristoranti, il Comune, e due cantine che sono storia: Gaja e i Produttori di Barbaresco.

È all’Enoteca Regionale che si può fare la prima sosta. Qui, ogni giorno, ci sono quattro Barbaresco in degustazione (a 3 euro il bicchiere, vantaggiosissimi, come il Barbaresco 2005 di Giuseppe Cortese, speziato e austero, con i suoi profumi di sottobosco e un finale lungo e terroso, molto piacevole) e tutte le bottiglie delle cantine aderenti, rivendute a prezzo di cantina. Non si può chiedere di meglio.

Attraversato il paese, si arriva invece al punto vendita dei Produttori di Barbaresco, la cantina che nel 1958 ripartì – dopo un periodo di chiusura in epoca fascista – per volontà di Don Fiorino. Nel punto vendita si possono assaggiare e acquistare Nebbiolo e Barbaresco base, e alcuni dei cru, se ancora disponibili. Con 25 euro si portano a casa una bottiglia di Nebbiolo (il 2013, da poco in commercio, è esemplare, dal bel frutto e giusta acidità, con una liquirizia finale che ti invita a finir la bottiglia) e una di Barbaresco (euro 16).

È un vero piacere, un leggero stordimento, e immediata voglia di ritornare.

Autore

Alessandro Ricci

Sotto i 40 (anni), sopra i 90 (kg), 3 figlie da scarrozzare. Si occupa di enogastronomia su carta e web. Genoano all’anagrafe, nel sangue scorrono 7/10 di Liguria, 2/10 di Piemonte e 1/10 di Toscana. Ha nella barbera il suo vino prediletto e come ultima bevuta della vita un Hemingway da Bolla.

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