Nel Pesto ci va il burro?

da | Feb 12, 2015

No.

Risolta la domanda fondamentale, affrontiamo meglio il flemmone sull’argomento. Ha cominciato lui, lo chef Davide Oldani, con questa intervista sul Corriere (bold nostri).

«[Il pesto] deve essere fatto con una parte di burro, oltre che con l’olio. Perché quando tu mantechi la pasta lo fai fuori dal fuoco, non sul fuoco. Quindi serve del burro di primissima qualità che si scioglie piano piano e crea anche una salsa leggermente vellutata che è quella che dà succulenza a tutto il piatto. Nel mortaio metto pinoli e noci, e poi li schiaccio. Quindi aggiungo il basilico, e lo pesto in modo da ridurlo alla giusta consistenza [e l’aglio? ndr]. Aggiungo olio evo, una parte, e poi un po’ di burro come vuole la tradizione. Solo così il pesto diventa cremoso. Questa cremosità ci permette di condire la pasta che scoli e di mantenere molto verde anche il pesto finito».

A giustificazione afferma:

«Lo dice anche un libro antico di ricette liguri che possiedo da anni».

Apriti cielo. Proviamo a fare un po’ di chiarezza.

Il libro. Si tratta probabilmente della Cuciniera genovese di G.B. e Giovanni Ratto (1863), almeno supponiamo, che in effetti dà come ingredienti aglio, basilico, formaggio sardo e parmigiano, pinoli, poco burro (toulì), olio in abbondanza. Anche una vecchissima edizione del Talismano riprende questa cosa del burro, ma immaginiamo che Oldani sia abbastanza del mestiere per non confondere il Talismano con un “libro di ricette liguri”.

Il business. Ricordiamoci che questi chef stellati televisivi vivono di audience. Facciamo un po’ la tara a queste sparate. Così, tanto per calmarci, eh.

“Come vuole la tradizione”. La ricetta antica del pesto non esiste. Rileggetevi il post di Alessandro. Ce ne fosse una d’accordo con l’altra. Ci va il formaggio d’Olanda, non ci sono i pinoli, saltano fuori anche le acciughe e naturalmente non manca il pesto di persa, cioè quello fatto con la maggiorana. Anche sul nome non c’è unanimità (lo stesso Ratto citato da Oldani lo chiama battuto alla genovese).

Richiamarsi a ricette ariane dell’antichità è un falso storico: nei tempi andati il pesto si faceva con quel che c’era e come tutte le ricette popolari conosceva tante versioni quante erano le massaie. Unica certezza: basilico, aglio e olio. E l’aglio manca, nella versione di Oldani.
Ma attenzione. La storia non finisce. La vita prosegue e si evolve. Il pesto come lo intendiamo noi non proviene solo da quel periodo di incertezze, ma anche dalla storia successiva, che lo ha modificato ma che ne è essa stessa parte integrante. La storia del Novecento, quella della nonna, della mamma e infine quella di ieri sera. Questo è proprio il concetto di “tradizione” invocato da Oldani: trasmissione ininterrotta del sapere e consuetudine.

Pensare di prendere una cosa che ha duecento anni di vissuto e dire no, va rifatta come si faceva nel 1863 è un’operazione antistorica e antitradizionale, che cancella quel vissuto.

Ma riprendiamo il discorso. Negli ultimi sessant’anni tutte le ricette popolari italiane hanno conosciuto una stabilizzazione (smettiamo di morire di fame, nasce l’industria alimentare, del freddo, accediamo a più informazioni eccetera ecctera), compresa quella del pesto. Il burro sparisce. Anche le acciughe, per dire. Persino del pesto di persa si perdono le tracce, eppure un tempo aveva quasi pari dignità. Un po’ più a lungo ha resistito l’uso della prescinseua, ma ormai anche questa è scomparsa nell’uso quotidiano.
Tutto questo non perché una mattina Nino Bergese si è svegliato e ha scritto la ricetta definitiva del pesto, ma perché nell’uso, piano piano, centinaia di migliaia di anonimi pestatori sono giunti nei decenni al medesimo risultato (spinti da comuni motivazioni sociali, culturali ed economiche, eccetera di cui sopra).

La stabilizzazione prosegue fino alla definizione di un disciplinare per il “Pesto genovese”. Un disciplinare, sia chiaro, che ha il suo senso nella difesa del prodotto dagli appetiti dell’industria alimentare, che infatti continua a proporre “pesti” con oli di semi, anacardi e vari ingredienti di comodo.
Siamo ai giorni nostri. Chiedete a qualunque genovese: oggi il pesto è fatto così, senza burro, prendere o lasciare. La tanto invocata “tradizione” è questa. Ovviamente puoi continuare a metterci dentro quello che vuoi (i vegani usano il tofu al posto del formaggio), ma non è corretto chiamarlo “pesto”.

Quindi caro Oldani, mettici quello che vuoi, ma non dire che il pesto “deve essere fatto” col burro (e senza aglio). Altrimenti in onore alla Cucina di strettissimo magro di Gaspare Dellepiane (1880) “devi” metterci anche le acciughe: dai, vediamo che succede.

Autore

PapilleClandestine

Blog di panza e sostanza. Uni e trini, come quell'altro più famoso (per ora): con Alessandro Ricci, Daniele Miggino e Giulio Nepi. Si parla e si cazzeggia su minuzie gastropiacevoli quali cibo, vino, birra, mondo

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