Il cartello, posto sull’Aurelia, dove ho parcheggiato l’auto, ricorda che “siete nel punto più a nord del mar Mediterraneo occidentale”. Con questo tono vagamente bukowskiano si è aperta la serata che mi ha portato a cenare alla Voglia Matta, un locale nascosto nell’antico borgo di Santa Limbania, a Voltri. Praticamente, dove Genova finisce. Il locale è abbastanza particolare, con le sedie colorate e i grandi quadri alle pareti, un poco algido nelle pareti bianche che sparano un po’. Sarà anche che, quando ci siamo seduti, io e Linda, eravamo gli unici nel locale: difficile non sentirsi in leggero imbarazzo.
Nel corso della serata, però, il ristorante si è animato. Non grandi numeri, è vero, ma qualche coppia e un padre accompagnato da due giovani figli che aveva tutta l’aria di essere nel suo turno di genitore part time post separazione.
Il menu è interessante, il servizio attento e cortese. Io, che ho provato questo locale altre due volte, mi lascio tentare dalla (conveniente) proposta del menu degustazione a 35 euro, composto da cinque piatti. Linda, invece, opta per il menu della tradizione, per lo stesso prezzo.
Dopo una farinata monoporzione un po’ troppo alta, con la quale abbiamo stappato una bottiglia di brut Murgo 2006, metodo classico da uve nerello mascalese (€ 21) davvero gradevole che ci ha accompagnati per tutta la cena, siamo rimasti ben impressionati dal flan di baccalà e dal tataki di palamita, broccolata croccante e sale grosso. Due i primi previsti nel mio menu: la zuppetta di ceci, bietole e rossetti, rielaborazione golosa dello zemino genovese, e gli gnocchetti cacio pepe e gamberetti, un piatto piacevole, d’impronta romana, dove i gamberetti, però, risaltano poco, coperti anche dai pomodori secchi aggiunti nel condimento.
Per Linda, che ha dovuto aspettare che io finissi il mio primo piatto per vedere arrivare il suo, invece, ecco le lasagnette al pesto, abbastanza ordinarie. Abbiamo proseguito con il trancio di nasello al forno con rosmarino, aglio in camicia su letto di patate, essenziale e saporito, e con le acciughe ripiene, ben fatte. Dopo un sorbetto d’ananas proposto come predessert, io ho chiuso con un semifreddo al cioccolato amaro intercalato da arancia: una chiusura giustamente amara, non stucchevole. Linda, invece, con il biancomangiare con mandorle amare, dolce storico nella pur breve vita di questo locale.
Il conto finale, con un caffè e un bottiglia d’acqua, si è attestato tondo tondo sui cento euro. Ci sta tutto, tenuto conto della qualità e cura della cucina. Delle tre volte che ho mangiato in questo locale, l’ultima è stata la migliore. Considerata la giovane età del cuoco, è un locale che potrebbe crescere.