A casa dei miei c’è un appendi abiti di ferro battuto. Rosso un po’ scrostato, di quelli “che non se ne fanno più”. Ci credo che non li fanno più: il fabbro di piazza delle Vigne a Genova ha chiuso da qualche anno. Destino simile a diversi suoi colleghi artigiani e alle mezze stagioni. E che c’azzecca? Che ora presso lo stesso numero civico c’è un’osteria: Il Fabbro, appunto.
Prenoto un sabato sera: «Mi raccomando, alle nove, oltre non prendiamo prenotazioni». Nonostante sia a poche centinaia di metri da casa mi muovo con largo anticipo. «Magari prendiamo prima un aperitivo». Ecco. Siamo sei, compresa una vecchia amica che non vedo da tempo immemore e che non è mai stata a Genova. Scherziamo ricordando la gag della torta di riso di Ceccon, Balbontin e Casalino: ironia tanto esplicita quanto vera sull’ospitalità ligure. Quasi un’ora dopo l’ordinazione la cameriera ci comunica che il Florida non si può fare, lo scazzo che si porta dietro si taglia con il coltello. E le nove si avvicinano pericolosamente. Sudori freddi, trangugiamo di fretta il nostro cocktail e scappiamo. Cominciamo bene.
Il Fabbro mischia lo stile retrò delle vecchie osterie – nei tavoli di legno ravvicinati, nelle sedie con la seduta di paglia, nelle tovagliette, nei lucernai d’epoca – con un menù misto, che propone piatti della tradizione ligure ma anche svolazzi sfiziosi nella cucina internazionale.
Si può mangiare un minestrone di bricchetti, o un piatto di tagliolini verdi con i funghi, un coniglio alla ligure, il brandacujùn (a base di stoccafisso e patate), oppure una bella fetta di Picahna, taglio tipico della cucina brasiliana (codone di manzo), un’insalata di tacchino speziata, qualche spruzzata di curry. Io mi butto sul versante locale: tagliolini (sufficienti: cottura non ottimale), coniglio (buono), assaggio la picanha (ottima per gusto e cottura). Lasciamo perdere la carta dei vini, perché qui la sorpresa sta nel vino della casa. Un barbera preso in cantina decisamente gradevole. Tra i 20 e i 25 euro la spesa.