La Valtellina si è affacciata al tavolo dell’Unesco per dire che c’è anche lei a pretendere un posto tra i paesaggi patrimonio dell’umanità. E lo merita se si pensa ai vigneti che si arroccano sulle pendici delle Alpi, rubando spazio alla roccia con straordinari nebbioli del nord. La Valtellina però va oltre il vino, almeno per tre prodotti: le mele, i formaggi vaccini e, naturalmente, la bresaola.
Sono reduce da un weekend lungo in queste zone e per la prima categoria, quella delle mele appunto, il mio suggerimento è di affidarsi a Frutticoltura Alpina di Luca Barbolini, con il suo succo naturalmente dolce dal cuore della mela a cui affianca un ancor più straordinario estratto dai mirtilli, che cambia da una spremitura all’altra e che per me, profano, è sempre e comunque eccezionale. Un suggerimento: se passate dal suo negozio di Berbenno (via Medera, 153 • tel. 0342492410), acquistate il tre litri tre di mela a un prezzo quanto mai concorrenziale.
Poi c’è l’altro versante, quello bovino. Anzitutto per i prodotti lattiero caseari e qui le chicche sono due: il burro della latteria sociale di Berbenno e i formaggi di un’azienda appena nata, Urbanidea, nel parco nazionale dello Stelvio.
Poi c’è l’altro simbolo della Valtellina, la bresaola e qui iniziano i problemi. Perché la bresaola è un prodotto contestato, difficile da conciliare con l’aspirazione moderna al chilometro zero. Forse un tempo bastavano le poche bestie scarne, appena scese dal pascolo, a colmare le esigenze dei macellai della valle. Oggi però non è più così e in Valtellina approdano carni italiane e non solo: Piemontese, Limousine francese e belga o carne sudamericana. Carni che per le loro caratteristiche dovranno colmare il fabbisogno di un’industria crescente che raccoglie tagli già confezionati e inviati sottovuoto per essere lavorati. Già, perché a far la differenza è la lenta lavorazione, con salagione, asciugatura e stagionatura all’aria pura di queste valli, incanalata da moderni sistemi di areazione. Un processo simile per molte aziende, su una scala che va dall’impresa artigianale alla piccola industria. Nel primo caso rientra Alico (via Nazionale, 32 • tel. 0342 635209) di Cosio Valtellino (So) di di cui vale la pena assaggiare la saporita slinzega (nella foto), esempio probabilmente dell’archetipo di bresaola, che non disdegna una maggiore speziatura e la sottile patina di muffa che le dona un aroma impareggiabile, capace di restare a lungo nel retrogusto. Nel secondo ambito c’è invece Mottolini (via Lozzoni, 5 • tel. 0342 564070) di Poggiridenti (So), che produce bresaole da carne sudamericana, Limousine e dalla pregiata Piemontese ma è sicuramente con la seconda, acquistata in Francia dopo un paziente lavoro di selezione, che si ottengono i risultati migliori.
A far la differenza, del resto, è il lungo e paziente lavoro di affinamento di queste carni, un procedimento che seppur modernizzatosi, deve ancora molto alla perizia degli artigiani valtellinesi. Ed è così che la Valtellina si riappacifica con il peccato originale della rinuncia al chilometro zero.
Da affezionato frequentatore valtellinese suggerisco fortemente il gelato dell'azienda agrigola la Fiorida (a Mantello) e, assolutamente da non perdere, gli sciatt ed i pizzoccheri dall'osteria del sole a Ponte in Valtellina…
Per la carne penso di non avere mai mangiato una costata migliore di quella del macellaio di Tovo (10 minuti da Tirano). La sua affermazione "la miglior verdura per la grigliata? la salsiccia!" rimarrà scolpita per sempre nel mio verbo culinario…
Personalmente, come ho già avuto modo di scrivere su twitter, non condivido la concessione del marchio IGP (che induce a pensare all'italianità dei prodotti) laddove siano usate carni estere.
Non è una questione di "km zero" e, come per la bresaola, il discorso vale anche per gli altri prodotti "italiani".
Il disciplinare è stato modificato opportunamente, eliminando qualsiasi riferimento alla provenienza delle carni (a quanto mi risulta, tuttavia, con forti resistenze ed in alcuni casi vere e proprie opposizioni da parte di produttori più piccoli).
Il consumatore, però, è quasi sempre convinto di acquistare un prodotto al italiano realizzato con carni italiane. E molti estimatori della bresaola, come il sottoscritto, una volta scoperta la realtà decidono di non comprarne più, con conseguente penalizzazione anche di chi non si "avvantaggia" del mercato delle carni.
La richiesta supera (di gran lunga) la produzione? Verissimo e benissimo. Ma si affianchi alla "Bresaola IGP" una "Bresaola PRODOTTA in Valtellina" o comunque individuata con una definizione similare che consenta di differenziare i diversi prodotti.
Certo, il mercato della bresaola non è paragonabile a quello di altri prodotti, come appunto prosciutto, vino ed olio, ma la mia personalissima (e fallace) convinzione è che la strada intrapresa con l'estensione indistinta del marchio IGP, alla lunga, sarà controproducente.
Gli interessi economici dei produttori rischiano di danneggiare l'intero settore agroalimentare italiano.
Il problema vero è che la denominazione europea serve proprio per accompagnare i prodotti in ambito internazionale, motivo per cui non si può pensare di avere troppo sotto-denominazioni altrimenti si rischierebbe di ingenerare confusione e neppure la Ue lo permetterebbe. Del resto la denominazione serve – almeno in teoria – per garantire determinati standard. Forse la soluzione migliore sarebbe quella di imitare quanto già fatto con il balsamico di Modena distinto appunto in balsamico e balsamico tradizionale: ora la differenza è chiara, almeno ai consumatori più attenti. In seconda battuta torno a ribadire che sulle carni non possiamo incaponirci: la scelta di bestie straniere non è legata solo a ragioni economiche ma anche e soprattutto a ragioni gustative. L'importante è che, come fanno le aziende che cito, ci sia alla base una attenta selezione fatta sul campo degli allevamenti e delle carni.
Sono valtellinese e ho scritto sul mio blog più volte anche io della questione della Bresaola.
Il marchio IGP tutela solo i metodi e il luogo di produzione non l'origine della materia prima. Non c'è da stupirsi quindi che il 90% della Bresaola IGP venga prodotta con la poco costosa carne brasiliana. Anche il maggior bresaolificio della Valle (Rigamonti) è diventato da poco di proprietà brasiliana…
Un problema (al di là della qualità opinabile) è la scarsa informazione che arriva al consumatore finale.
Un altro problema è che chi produce a partire da carne locale (o comunque europea) non vede valorizzato il proprio lavoro in alcun modo. Come i commentatori qui sopra, anche io sono dell'idea che servirebbe un ulteriore marchio che tuteli anche l'origine della materia prima.
Qualche consiglio per gli acquisti (oltre agli interessanti nomi che avete segnalato) per le prossime volte che salirete in valtellina:
-una delle migliori bresaole in circolazione la produce la macelleria Poretti di Tirano
-per il formaggio caldeggio l'az.agricola Pizzo Scalino, la latteria di Caiolo e l'associazione produttori Valli del Bitto in val Gerola.
-per il miele si va sul sicuro con quello dell'apicoltura Martelli di Villa di Tirano.