Le sette regole d’oro per aprire un beerpub di successo a Genova

da | Feb 5, 2014

Il frutto è maturo e aspetta solo che qualcuno lo colga dall’albero. Questa splendida metafora vegetale, oltre a soddisfare l’ugofoscolo che è in voi, riassume la situazione della birra artigianale di qualità (che d’ora poi chiameremo per semplicità soltanto “birra”) a Genova.
Sintetizzo per chi è foresto. Sotto la Lanterna aumenta l’interesse per la birra, sempre più locali hanno una o due spine artigianali, il principale distributore locale ha in carta diverse birre buone: la birra si vende, certi marchi cominciano a essere conosciuti anche dal consumatore medio-ignorante. In tutto questo panorama, manca, clamorosamente manca, un beerpub.

Sto parlando, sia ben chiaro, di un beerpub con i controcazzi, come ce ne sono ormai molti in Italia. Come il Macche di Roma, per fare il nome probabilmente del migliore, che in pochi metri quadrati offre questa scelta di spine.

Insomma, se siete svegli avete capito il quadro: questo è esattamente il momento in cui se qualcuno si butta sul mercato e apre un locale fatto come si deve, fa saltare il banco e si porta a casa la posta. Quel locale diventerà il punto di riferimento genovese, e la gente si picchierà per entrarci. E non importa se poi ne apriranno altri: chi arriva primo meglio alloggia.

Poiché non siamo imprenditori, ma bevitori perdinci sì, abbiamo compilato le sette regole d’oro per aprire un beerpub di successo a Genova e ve le regaliamo.

1) In centro. E ho detto *in centro*.
Condizione imprescindibile, per almeno due motivi. Il primo è che il centro, in particolare il centro storico, tira. Se vogliamo quel genere di locale che è in grado di dare una svolta a un’intera città, creare un trend, aprire strade nuove, c’è poco da fare: ci vuole tanta, tanta, tanta gente. E la gente la sera va soprattutto in centro, quindi l’equazione è facile.
Il secondo motivo è che Genova è lunga trenta chilometri: tre volte Parigi, per dare l’idea. E il centro sta – guarda un po’ – nel centro, da cui consegue che è il punto più facile da raggiungere (e quando cercherete di tornare a casa in motorino con cinque pinte in corpo e la madama che vi aspetta con l’alcoltest (*), capirete quanta ragione ho a piazzare un locale in un posto più vicino e meglio servito).

2) Specializzarsi in uno stile.
Nel titolo c’è scritto “di successo”, e poiché se vogliamo far le cose bene facciamole bene fino in fondo, l’idea è che il suddetto beerpub si ritagli un minimo di notorietà anche oltre Busalla o Bogliasco. Un modo potrebbe essere quello di specializzarsi in uno stile di birra, e avere tutto – o almeno tutto quanto fa notizia – che di quello stile si può bere. Cavalcate l’onda delle Ipa? Ok, allora voglio una carta con cento Ipa. Birre da meditazione? Bene, le voglio tutte dietro il bancone. Lambic? Fantastico, dovete diventare l’oasi dei lambic in Italia (Troppo tardi, già fatto, ndr). È difficile? Certo che è difficile, eccheccazzo. Se volevate aprire un pub monomarca Heineken non dovevate leggere questo post.

3) Cene a tema? Nì grazie.
Se avete una cucina decente e siete capaci di *usarla bene*, niente da dire. Ma se siete un pub, ragionate da pub! Se serve un evento, portate i birrai e fate serate di birra, persone e parole. Per il cibo trovate degli abbinamenti adatti per ogni stile e proponeteli in carta in accoppiamento, in modo che il cibo sia a servizio della birra (più o meno, eh, non dovete raggiungere la perfezione di Kuaska: siete ancora in evangelist mode on, ricordate?)

4) Oldies and goldies, ovvero le birre invecchiate.
Probabilmente esisterà una qualche legge che vi impedirà di farlo, ma è una legge stupida quindi vi autorizziamo a infrangerla (davanti al magistrato dite pure che ve l’abbiamo detto noi). Insomma, se volete aprire un beerpub di successo a Genova, mettete a invecchiare qualche birra in grado di farlo. Perché le birre invecchiano, e alcune anche alla grande. E il pueblo non lo sa: li lascerete tutti a bocca aperta e tutti diranno, “belin, che fichi quelli di [aggiungere il nome del locale]”. E la parola passerà, e la cassa farà dlìn dlìn.

5) Una session-beer è necessaria.
È necessaria a me, per lo meno,  quindi questo punto 5 ve lo beccate per forza. Ma ricordate che il popolo beve Moretti e per portarli sulla retta via non serve una Baladin Xyauyu ma qualcosa facile da bere, che possa stare in un bicchiere di plastica e invadere la piazza. Insomma, per vendere secchiate di birra serve una birra che si beva a secchiate.

6) Anche l’occhio vuole la sua parte, ovvero il muro di spine.
Ora, non dovete avere quaranta spine. Ma almeno una decina sì, perché il muro di spine è d’impatto: è proprio un discorso estetico, ma l’estetica fa brand awareness, cioè marketing, cioè pubblico. Mettiamo però che voi il locale lo avete già, non potete investire per rifare tutto il bancone e riuscite giusto ad aggiungere due o tre vie e arrivare a cinque spine. VA BENE! Va bene! Però quelle cinque me le girate, almeno una (meglio due) devono essere nuove tutte le settimane.

7) Almeno una handpump.
Dunque, a meno che non l’abbiano installata la settimana scorsa e/o che ce ne sia effettivamente una – da qualche parte, ma una, unicum et singularis – in tutta la città di Genova non ci sono locali con la pompa a mano (avete presente quella che usano in Gran Bretagna? Ecco, quella). Ho messo questo punto per ultimo sperando che qualche appassionato di birra foresto non sia arrivato a leggerlo, perché cancellerebbe immediatamente questa città dalla propria mappa e la prossima volta in Sardegna ci va nuoto piuttosto che uscire a Genova Ovest. La handpump ci vuole. E per fare buon peso, anche un Randall – che è quel cilindro ripieno di luppolo che serve per luppolare la birra direttamente sulla spina.
Sono magie con cui irretire per sempre le vergini menti degli ingenui indigeni liguri.

8 – bonus track) Siate publican osti. In un locale che rispetta i sette punti d’oro papilli mi aspetto che lavorino persone con: passione, sete di conoscenza, sete e basta. Dovrete conoscere le vostre birre, dovrete avere entusiasmo, dovrete avere voglia di sperimentare. E soprattutto dovrete avere voglia di trasmettere tutto ciò a chi sta dall’altra parte del bancone.

Io ad esempio sono già lì, e il mio bicchiere è vuoto. Auguri.

 

(*) Questo blog condanna ovviamente una tale dimostrazione di idiozia. E il bello è che non stiamo scherzando (ormai siamo padri di famiglia)

Autore

Giulio Nepi

44 anni, doppio papà, si occupa da aaaaanni di comunicazione web. Genovese all’anagrafe ma in realtà di solide origini senesi, ha sposato una fiamminga francese creando così un incasinato cortocircuito di tradizioni enogastronomiche

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