Cosa è Genova, in questo determinato periodo storico? È una città che ha attraversato una stagione portentosa di rinascita, in cui ha cambiato pelle, ha attratto turisti, è ritornata Superba. Una stagione in cui è stata un laboratorio, balzato agli occhi del mondo per bellezze e tragedie. Ma che oggi, inesorabile come una marea, sta tornando a ritrarsi, rifugiandosi nel suo splendore decadente, afflitta da problemi profondi, problemi di mancanze: di soldi, lavoro, energie, investimenti privati, strategia, vitalità. Una città anagraficamente vecchia, tra le più vecchie d’Europa, destinata a macerarsi, malinconicamente sospesa tra quello che è stata, quello che è e quello che sarebbe potuta essere. Visione pessimistica? È la mia, e non credo di sbagliarmi.
Poi arriva un forestiero dagli occhi sensibili e mi dice che Genova è vitale, che non ce ne rendiamo conto ma è vitale. Vedo occhi stregati dalla bellezza della città. Vedo i turisti al Porto Antico, le code per l’Acquario e per le mostre a Palazzo Ducale.
E allora mi pongo delle domande, su questa città che è il mio orizzonte e la mia casa. Non sarò diventato un altro maniman, buono solo a lamentarmi, capace unicamente di brontolare?
Possibile. E allora al diavolo borbottii e lamenti, e al macero pure sobrietà e rigore. Se posso fare qualcosa per Genova è comunicare, nel mio piccolo, la sua bellezza. E viverla senza quella maccaia cerebrale che appesantisce ogni cosa. Genova non sarà migliore, ma io starò certamente meglio.