C’è un tema che, gira e rigira, torna spesso a galla e che, se riassunto in un titolo, pare quasi filosofia: “Critica gastronomica tra soggettività e oggettività” (che è secondo solo al monumentale “Critica gastronomica al tempo del web 2.0“). Ieri la sempre acuta Lorenza Fumelli ha pubblicato un post su Dissapore, che si chiude con un provocatorio:
Quel che so è che una pietanza perfetta per qualcuno può non soddisfare altri e questa inappuntabile certezza mi conduce all’unica possibile verità. Ossia che un palato oggettivo in assoluto NON può esistere, ergo NON può esistere il critico Perfetto e, finalmente, concludo: il noto critico gastronomico Edoardo Raspelli NON esiste, è un sillogismo aristotelico. Smentitemi.
Il palato, per quanto allenato ed educato, non sarà mai totalmente libero dai lacciuoli delle preferenze. E’ vero. E allora, il critico gastronomico come può svolgere questo compito senza entrare in conflitto di interessi con le proprie preferenze? Come può diventare il suo palato riferimento per tanti?
Insomma, il gusto, innegabilmente, è soggettivo. E il valore della soggettività è democraticamente riconosciuto. Perché è buono ciò che piace, e il buono sappiamo riconoscerlo. Ma è così? Quante volte ho (abbiamo) storto la bocca di fronte ad un menu con penne gamberi e curry, tagliata con la rucola o l’aceto balsamico, crema catalana a fine pasto? Questi sono i piatti che si trovano nel 90% delle trattorie italiane, e sui quali cade la scelta di milioni di italiani, quando vanno a mangiare fuori. Non sono forse buoni, se piacciono a così tanti? In questo caso la soggettività democratica va forse a bagno?
Credo che la questione sia un’altra. Chi è appassionato di cucina, chi gestisce o scrive su un foodblog (o chi ci commenta), chi ama andare a mangiare fuori considera a priori il suo palato un buon palato. Si considera gourmet. Magari non ha basi tecniche, non ha (quasi) mai cucinato, non ha esperienza di centinaia di ristoranti e migliaia di piatti, ma si sente in grado di riconoscere una buona cucina, o perlomeno una cucina congeniale al proprio palato (che poi è lo stesso pensiero di quello che non ha mai confessato mire da gourmet e che si accontenta di scofanarsi una tagliata con patatine da Mario sotto casa).
Però tanti (dai, quasi tutti) di quelli che hanno stima del proprio palato e che più o meno velatamente ridimensionano il ruolo del critico gastronomico si squagliano e s’inchinano di fronte ad un bravo sommelier che parla di vino.
Eppure anche il vino si può valutare dicotomicamente in “piace” e “non piace”, “buono” e “non buono”, e tutti i non-astemi hanno bevuto, e parecchio nel corso della loro vita. Magari non Monfortino, Petrus e Sassicaia, ma quanti sono stati da Bottura, Redzepi e Ferran Adrià?
Insomma, di fronte all’esperto di vino si è molto più umili, si riconosce la dote di cogliere e distinguere profumi mirabolanti e la capacità di analizzare il sorso. Si parla di nasi e palati stra-ordinari, e ci si fida dell’esperienza di chi ha assaggiato centomila vini. Insomma, ci si pone in un (più o meno) silenzioso rispetto. Come posso tener testa ad un Cernilli, ad un Gori, ad un Ziliani, ad un Massobrio? Però (quasi) tutti ci sentiamo di poter dire la nostra su una recensione di Raspelli, un commento di Bonilli, una valutazione di Bolasco. Anche se è sempre questione di palato, conoscenza ed esperienze.
Perché?
Intanto ci ragiono.
(foto: shakib.net)
lusingatissimo della citazione Alessandro! ma sono molto lontano dai 100mila vini assaggiati, cifra che sia Ziliani che Cernilli hanno abbondantemente doppiato mentre io sarò a metà strada…
Spererei invece che i miei giudizi possano essere messi sempre più spesso in discussione…perchè sarebbe il modo migliore soprattutto per me per imparare…
quindi mi confermi che rispetto al tuo giudizio incontri spesso una sorta di "timore reverenziale", difficilmente riscontrabile su un giudizio di un critico gastronomico?
A fianco di centomila vini, mi sono dimenticato di aggiungerci un (cit.)…
Alessandro, proverei a metterla così: credo che il settore vino abbia dalla sua la codifica dell'assaggio che è una cosa un po' più stringente, che comprime di più il parametro soggettivo. Per questo il sommelier è, agli occhi del pubblico, "l'esperto di vino", mentre il "gourmet" è una figura più autoriferita. Poi nei due gruppi ci sono, sicuramente, gli elementi più autorevoli in ragione dell'esperienza maturata, ma resta il fatto che un assaggiatore di vino usa parametri di valutazione codificati, in alcuni casi quasi scientifici. E comunque noterai che il dibattito pure tra wine-people è bello vivace lo stesso 😀
Caro Fiorenzo sono completamente d'accordo con te. A mio modo di vedere si tratta – parlo di esprti e gourmet – di community diverse, con le proprie metodologie, un linguaggio, competenze ed esperienze. Con differenze al loro interno, ma distinte tra loro. Insomma la domanda: "cosa ha Raspelli che io non ho?" non è pertinente o non del tutto. se non è qualcosa in più è qualcosa di diverso: aver bevuto centomila vini, aver studiato certe materie, aver trovato un terreno di confronto con compagni di strada che hanno la stessa passione. Farsi quella domanda è un po' come dire: "perché lui è lì e io no?' (vedi quella dell'uva). Sarebbe diverso, per esempio, dire: 'Raspelli come esperto di enogastronomia non mi garba per nulla, e dice castronerie'. Critica più che legittima in base al diritto di espressione.
Insomma, non è che si entri di diritto nella categoria di 'esperti' appiattendo le differenze con coloro che sono considerati esperti. Come quelli che dicono: "in fondo siamo tutti filosofi". Eccerto, a volte io mi sento anche un po' campione del mondo, ma poi mi sveglio sudato. abbracci.
La differenza nella critica tra cibo e vino, a mio avviso, è questa:
"noi amiamo tutto ciò che conosciamo" diceva una critica d'arte qualche anno fa in un aula di Agraria…
conosciamo tutti il cibo, quindi lo amiamo e quindi, come ogni cosa amata, crediamo di sapere tutto sul suo conto e non ci nascondiamo dal criticarlo, osannando e disprezzando.
Più complesso è per il vino, il quale non sempre fa parte della cultura di una persona e, se c'è si conosce poco perchè lo si ama da poco tempo.
Si è più cauti nel commentare un bicchiere perchè nessuno lo conosce fin dalla nascita a differenza del cibo. Tutti i critici gastronomici cucinano (male o bene, chissà), pochi producono il vino.
E' tutta una questione culturale in fondo…. Se tutti ci convicessimo che del cibo ne sappiamo meno di quanto c'è da sapere, forse ci sarebbe più umiltà nel trattarlo.
Trovatemi un argomento al di fuori della gastronomia dove tutti ma proprio tutti sono così spavaldi nel dire la loro. Io non ho mai trovato nessuno.
Vero Alimenti (scusa ti do del tu…) ma questo fenomeno a mio parere non si limita al mangiare, è molto più diffuso: siamo tutti allenatori il lunedì mattina, siamo tutti indignati ed esperti di qualsiasi materia dopo aver visto Report, siamo tutti giornalisti ora che c'è il web, siamo tutti sindaci quando c'è da criticare il sindaco, siamo tutti istintivamente portati a credere che la conoscenza sia lì a portata di mano invece che una conquista.
Per tornare al punto della discussione, magari il palato perfetto non esiste, e quindi neanche il critico saggio all'ennesima potenza. Ma un conto è dire che non esistono verità assolute, un altro conto è dire che non si può parlare di cibo e di vino tra persone che 'parlano la stessa lingua', che si capiscono, discutono, litigano, non sono d'accordo.
Dammi pure del tu, sono giovane!!! 🙂
Vedi, quello che i sembra importante sottolineare è che il critico non deve rivolgersi mai soltanto ai suoi pari. il problema non nasce tra i gruppi di esperti che parlano la "stessa lingua" ma tra il "maestro e l'allievo". E' lì che la critica deve fare colpo!
Io sono un pivello della gastronomia. giovane, studio e vivo di cibo, eppure so che ancora devo maturare per potermi permettere di insegnare qualcosa a qualcuno. So di saperne tanto eppure questo non mi basta per impormi su un giudizio, tantomeno vado cauto nel giudicare il giudizio di altri. volendo non mi manca nulla per farlo ma do sempre quasi per scontato che un giudizio ha sempre un motivo di esistere anche se non lo condivido (chiaramente do per scontato che la persona che giudica si sia sempre dimostrata coerente, altrimenti non vale nulla).
E' un pò complesso il mio ragionamente, lo so, ma sono sicuro che tutti in genere riflettono prima di dar fiato al palato…
si può parlare come e quando si vuole, basta fare attenzione a non fare cattiva informazione.
"Se tutti ci convincessimo che del cibo ne sappiamo meno di quanto c'è da sapere, forse ci sarebbe più umiltà nel trattarlo" sono d'accordo, e forse anche con certi giudizi si andrebbe più cauti