Speakeasy: il fascino che viene da lontano

da | Apr 28, 2017

In uno degli speakeasy italiani un vecchio orologio da tavolo ha le lancette addormentate sulle 17.27. Celebra un’ora storica. Il 5 dicembre 1933 – era un martedì – negli Stati Uniti si chiuse l’epoca del Proibizionismo, cominciata il 16 gennaio 1920. Per tredici anni, vendere, importare e trasportare sostanze alcoliche fu illegale. Ma la via dell’alcol rimase sempre battuta, ovviamente. Raccontano i numeri ufficiali che soltanto le viscere della Grande Mela fossero traforate da un labirinto di 30.000 locali clandestini, detti speakeasy. Erano molto di più: 70.000, probabilmente, animati da una folla eteroclita in cerca di umido, quando il regime era secco per legge.

L’illegalità favorì il contrabbando, e gli intrecci tra politici, polizia, contrabbandieri e criminali si fecero torbidi e frequenti. Fu l’epoca di Al Capone, e di altre figure mitiche, come quella del Capitano William “Bill” Mc Coy che, con i suoi pescherecci, batteva la costa Est del Centro e Nord America, trasportando rum dai Caraibi e Rye whiskey dal Canada e, sfruttando un cavillo della legge Volstead, effettuava soste lungo la costa al di fuori delle acque territoriali americane.

Gli speakeasy si nascondevano nel retrobottega di una drogheria, nello sgabuzzino di un barbiere, dietro porticine anonime; sotto terra, ma anche ai piani alti di hotel e ristoranti di lusso, nascosti da passaggi segreti o con entrate e uscite separate. Si beveva male, il più delle volte: miscele di alcol scadente, che necessitavano di correzioni – sciroppi, succhi, bitter – per essere ingollate.

È in questa storia, violenta e romantica, alcolica e illegale, che affonda le radici la tendenza più glamour della mixology contemporanea. Assieme a barbe lunghe e baffi a manubrio, a bretelle e jigger, ci sono loro, i novelli speakeasy. Nessun indirizzo pubblico, nessun telefono: ci si arriva tramite il passaparola, si entra con la parola d’ordine, una fiche regalata dal gestore, o grazie alla dritta dell’amico “giusto”. Varcata la soglia – anonima se non contraffatta – si ripercorre a ritroso il tempo: l’atmosfera è intima e retro’, caldo il rapporto con il barman, curatissima la carta dei cocktail. Se “sinceri” speakeasy, manca la vodka, perché negli anni ’30 non era consumata negli Usa (arriverà dopo la seconda guerra mondiale, col Moscow Mule, ma questa è un’altra storia…).

La popolarità degli speakeasy si intreccia con la “new cocktail golden age” che stiamo vivendo. Se Dale De Groff è il padre di questa rinascita, colui che negli anni ’80 ha riesumato la figura di Jerry Thomas, leggendario barman americano della seconda metà dell’Ottocento, autore del primo libro sui cocktail pubblicato in America; il bartender Sasha Petraske è il capostipite degli speakeasy moderni, con il suo Milk & Honey, nel Lower East Side di Manhattan, la cui avventura cominciò simbolicamente il 31 dicembre 1999. Totale assenza di insegne, ingresso su prenotazione telefonica (e il numero cambiava spesso), un locale in legno scuro e mattoni rossi, un’atmosfera solleticata dal jazz, personale vestito all’antica. Petraske istituì delle regole della casa: era vietato indugiare all’esterno del locale, obbligatorio per gli uomini togliersi il cappello, si parlava a bassa voce e mai di argomenti violenti o di cattivo gusto. Insomma, un’atmosfera per veri gentiluomini. Soprattutto, si beveva benissimo, in controtendenza rispetto alle mode di 15 anni fa: solo frutta fresca centrifugata e spremuta al momento, uso di ghiaccio cristallino, recupero dei grandi classici. Tutto perfetto, because perfections is in details.

Il Milk & Honey ha chiuso (al suo posto c’è l’Attaboy, che ne ricalca in parte la strada), ma nel mondo ne hanno aperti parecchi di locali che – in parte o del tutto – ne seguono il solco. In Italia la moda sta diventando quasi virale – e quando questo accade, vuol dire che, da qualche parte, la genesi di una nuova tendenza è in atto. Alcuni sono soltanto afflati di marketing, altri invece meritano essere scoperti. E se camminando per le vie della vostra città, vedrete sparire qualcuno di soppiatto in una porticina socchiusa furtivamente, saprete forse cosa si nasconde…

INDIRIZZI

The Jerry Thomas Project

Roma – vicolo Cellini, 30
tel. 3701146287 – http://www.thejerrythomasproject.it

Nato nel 2010 come bar segreto dedicato ai barman, il Jerry Thomas ha rivoluzionato il modo di bere miscelato in Italia. La porta d’ingresso (l’indirizzo non è più un segreto, ma bisogna conoscere la parola d’ordine: la domanda è nascosta nel sito) è un potente tagliafuori dal mondo esterno. Dentro, tutto parla vintage: atmosfera, ospitalità, musica, abbigliamento. E, ovviamente, i cocktail: qui rivivono i pilastri della miscelazione, dal Sazerac all’Old Fashioned, calibrati con spirits di altissima qualità e difficile reperibilità. D’altronde, la bottiglieria con 1500 referenze è tra le più importanti d’Europa. Poche regole: prenotazione obbligatoria, rispetto per il locale, nessuna foto, e vodka bandita, come in epoca proibizionista. Un’esperienza, non solo una serata al bar.

1930

da qualche parte, Milano
www.facebook.com/1930milano

Una via tranquilla, non lontana dal centro di Milano. Un anonimo alimentari etnico. Ecco come si cela il bar più segreto di Milano. Una porticina di legno consente l’approdo in un locale di grande fascino, su due piani (sotto, si può fumare). I cocktail classici sono impeccabili, e i signature drink rappresentano, ciascuno, un viaggio diverso (da non perdere il Faro di Scozia). Per arrivarci, occorre entrare in sintonia con Flavio Angiolillo e Marco Russo, i titolari, frequentando l’altro loro locale, il Mag, sui Navigli. Una volta avuta la chance, non bisogna sgarrare sull’orario di prenotazione e scattare foto. E una volta dentro, chiedere di chi sia lo scrittoio a fianco del bancone. Scoprirete così la storia di Michael Love…

L’Antiquario

Napoli – via Vannella Gaetani, 2
tel. 0817645390 – www.antiquariobar.com

Nella via storica degli antiquari napoletani, dall’ottobre 2015 c’è questo secret bar che vede dietro il banco Alex Frezza (ma pure Vincenzo Errico, che ha lavorato al Milk & Honey di New York). Suonato il citofono, superata la tenda d’ingresso, si apre un ambiente fuori dal tempo, elegante, intimo, contraddistinto dal bel bancone, pezzi d’antiquariato e una pedana rialzata dove sogghigna un pianoforte (al mercoledì si organizzano serate swing). La lista dei cocktail è divisa in “classici”, “contemporanei” e “moderni”, e tutti i drink hanno un riferimento di data, luogo e bartender. Da provare il Red Hook, un twist sul Manhattan ideato da Errico. Vietato fotografare, consigliato prenotare (sono 40 i posti a sedere). Attenzione alla libreria davanti ai servizi: nasconde qualcosa.

Gatti Randagi

Asti – via Quintino Sella, 41a
tel. 3462124816 – www.gattirandagispeakeasy.it

 Più che un vero e proprio speakeasy (ma la vodka non c’è, tranquilli) si tratta di un secret bar. L’indirizzo è pubblico, ma una volta giunti in via Quintino Sella l’ingresso è anonimo, e serve la parola d’ordine (la domanda è sul loro sito). Entrati, scale scenografiche – chiedete perché c’è quel vetro, per terra, la risposta è divertente – vi portano nel regno di Antonio Marteddu. Ci si ritrova in quella che nel 1200 era una cantina. Sono due spazi, arredati con tappeti, velluti rossi, sedie e tavolini spaiati e d’antan. Su ognuno, un punto luce diverso, qualche candela, e un’atmosfera rilassata che vibra delle armonie illegali del jazz, suonato dal vivo ogni venerdì e sabato. Qui si sta bene con gli unforgettables, con i cocktail a base di vermouth, ma soprattutto per un’idea di miscelazione che non vuole sorprendere, curata però in ogni dettaglio, a partire dalla scelta dei prodotti. L’atmosfera da Grande Gatsby, poi, fa la differenza.

Malkovich

da qualche parte, Genova
tel. 3930110393 (solo uno squillo per ricevere via sms la parola d’ordine)

Aperto sul finire del 2015, è nascosto nei sotterranei di un hamburgeria, in locali che furono, per secoli, un granaio. Il bar si divide in due minuscole salette: nella prima troneggia il bancone; la seconda, tutta mattoni, accoglie poco più di una dozzina di persone. È forte l’influenza cinematografica: dal nome stesso, alla lista dei cocktail, alla parola d’ordine, che cambia ogni giorno. Assolutamente vietate le foto. Da provare lo Switch scotch to Martini & Die, twist del cocktail Martini ispirato all’ultima frase del grande Humphrey Bogart prima di morire. E quando è il momento di uscire, si scopre che l’uscita non corrisponde all’entrata: si risale nella bottega di un parrucchiere, prima di ritrovarsi nei vicoli di Genova.

Locksmith

da qualche parte, Genova
tel. 3404672308

Ecco un altro secret bar, aperto nel 2015 e trasferitosi nella sede attuale lo scorso novembre. Dove si trova? Diciamo che è nelle cantine di una torre famosa a Genova. E che davanti, è stato aperto lo scorso febbraio un altro locale, della stessa proprietà, che serve uno e un cocktail soltanto, sebbene in svariate versioni. Ci si accede passando dalla porta di un vecchio armadio, e una volta dentro si respira un’atmosfera da circolo d’antan. Molto genovese, in alcune cose. E non si prende troppo sul serio. Sulla qualità della proposta, però, non si scherza. I cocktail del titolare sono piuttosto personali, anche nelle presentazioni.

Symposium

da qualche parte, Genova

All’ombra della Lanterna, i secret bar sono spuntati come funghi. Eccone un altro. Al piano terra il cocktail bar “ufficiale” macina numeri importanti. Ma salite le scale, passando per il guardaroba si finisce in una realtà parallela di grande eleganza. Pochissimi tavoli, un bel bancone. E le cure di un barman che sa il fatto suo.

The Nightjar

Londra – 129 City Road
www.barnightjar.com

Glamour e sensuale, intimo e friendly. È il Nighjar, uno dei locali più famosi di Londra, che dà il meglio di sé quando è ammantato dalle calde note del jazz suonato live. L’indirizzo è pubblico (nel quartiere di Shoreditch), ma l’ingresso è ben nascosto tra due caffè. Marian Beke e Luca Cinalli propongono eccellenti drink cesellati maniacalmente: dal London Mule, all’Inca Cocktail, fino al “Name of the Samurai”. Meglio prenotare, e non fare foto (soprattutto ai bartender al lavoro).

Door 74

al 74, da qualche parte, Amsterdam
tel. +31 (0)634045122 – www.door-74.com

È stato una macelleria, una stazione di gas, un casinò illegale con casino annesso e uno student bar, prima di diventare, sette anni fa, il primo speakeasy aperto in Olanda. L’ambiente è classico e moderno e l’atmosfera divertente. Bisogna prenotare (il giorno stesso) e non accettano persone in piedi. Le regole sono poche, ma chiare: no telefonate, urla vietate, non si possono disturbare gli altri avventori e via il cappello.

Becketts Kopf

Berlino, Pappelallee 64
tel. +49 03044035880 – www.becketts-kopf.de

 Nessun insegna. Soltanto un campanello, e un quadro illuminato di Samuel Beckett appeso a una finestra. Ecco il Beckett Kopf, aperto nel 2004 nella fu Berlino Est. La carta dei cocktail è stagionale, e fa ampio uso di erbe (i titolari hanno un piccolo orto in Brandeburgo), spezie e spiriti tedeschi. Da provare il Luigi (gin, orange curacao, melograno e mandarino freschi). Meglio prenotare.

Autore

Alessandro Ricci

Sotto i 40 (anni), sopra i 90 (kg), 3 figlie da scarrozzare. Si occupa di enogastronomia su carta e web. Genoano all’anagrafe, nel sangue scorrono 7/10 di Liguria, 2/10 di Piemonte e 1/10 di Toscana. Ha nella barbera il suo vino prediletto e come ultima bevuta della vita un Hemingway da Bolla.

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