Pre dinner d’eccellenza, after dinner all’occorrenza, fedele compagno in ogni stato d’umore, dal colore rosso rubino così intrigante, e poi l’intenso profumo di spezie amare e dolci, erbe officinali, bacche di ginepro, agrumi e vaniglia. Un cocktail secco e corposo, amaro nella coda. Nobile, come colui che lo ha creato: è il Negroni.
Un alone di leggende, tanti dati precisi: l’origine del Negroni è piuttosto particolareggiata. Non solo si sa la città – una Firenze vitale ed europea, vivacizzata dal movimento futurista – ma anche il bar dove, per la prima volta, bitter, gin e vermouth si sono sposati in comunione di beni (e parti uguali).
Più che un bar, un negozio d’antan, un po’ drogheria, un po’ profumeria, rivendita di generi vari: il Casoni, poi divenuto Caffè Giacosa, situato a cavallo tra via de’ Tornabuoni e via della Spada.
In questo ritrovo di Firenze, in un giorno incerto compreso tra la fine del 1917 e il 1920, probabilmente sul far della sera, nasce il Negroni. A inventarlo, non un barman, ma Camillo Negroni, nobile elegante avventuriero. Con l’aiuto di Fosco Scarselli, giovane barista: due persone di diversa età e differente estrazione sociale, accomunate da un passato avventuroso.
Fosco Scarselli, leva 1898, giovanissimo, è già passato dal fronte della prima guerra mondiale, toccato dalla prigionia, prima di approdare come barman, nel 1917, alle dipendenze di Gaetano Casoni.
Il conte Camillo Negroni, orfano di padre a 10 anni, istruito alla vita militare, a 19 anni, s’imbarca per l’America, dove per due lustri fa il cowboy, conducendo le mandrie dalle squadrate praterie del Wyoming ai mercati canadesi. Col gruzzolo raggranellato, si trasferisce a New York. È il 1898, in piena golden age of cocktails: qui apre una scuola di scherma, si diverte col poker e le scommesse, trova moglie, prima di tornare a Firenze, nel 1912.
La storia dice che il Negroni sia figlio diretto dell’Americano, il cocktail che incontra vermouth e Bitter Campari. E che il conte, che sapeva bere e reggeva bene l’alcol, un giorno abbia chiesto di fortificare il drink aggiungendo la potenza del gin. “In realtà l’Americano non era tanto un cocktail, ma un modo di servire il vermouth, all’americana, appunto – spiega Luca Picchi, occhi limpidi, portamento da nobiluomo, uno che ha passato la vita sulle tracce del conte (scrivendoci due libri) e che di Negroni ne ha miscelati parecchi –. Ovvero, mescolandolo con bitter, arzente, o altro spirito. Il Conte in America aveva già visto miscelare bitter e distillati: non gli sarà stato difficile guidare Scarselli nella creazione dell’Americano alla moda del Negroni”.
Ecco così il Negroni: probabilmente servito all’inizio con una spruzzata di seltz (che finiva per abitudine il servizio del vermouth), caratterizzato da una fetta di arancia, al posto dell’allora usuale limone, per renderlo riconoscibile fin dalla vista.
“Dalle mie ricerche – continua Picchi – posso affermare che i primi Negroni si preparavano col Campari, bitter molto diffuso già allora a Firenze e presente in una grossa fetta del territorio nazionale. Sul vermouth utilizzato abbiamo meno certezze, anche se ho ritrovato una bolla di accompagnamento che attesta che la Martini & Rossi serviva il Casoni, in una data vicinissima alla nascita del Negroni. Mentre il Gin più diffuso in Italia era il Gordon’s”. Saranno stati questi i tre ingredienti del primo Negroni? Può darsi. “Ma difficilmente è nato con le attuali proporzioni. Credo che principalmente fosse un vermouth rafforzato con gin e colorato con bitter. Ma il Conte Negroni era uno che amava bere forte, all’americana, e si sarà sistemato il colpo in breve tempo così come oggi è conosciuto”.
Il Negroni non fatica a diventare celebre. In una lettera datata 12 ottobre 1920 Francis Harper, un antiquario londinese amico del conte, scrive una frase divenuta celebre: “you must not take more than 20 Negronis in one day”. Il Negroni è già codificato. “Non tragga in confusione il numero: i 20 Negroni citati non si riferiscono certo alle dosi attuali (circa 12 cl, ossia 4 oz circa), ma erano serviti in piccoli calici da cordiale, da un’oncia”.
Sono poi nate, come per ogni cocktail veramente famoso, diverse varianti: dal Cardinale, creato nel 1950 all’hotel Excelsior di Roma in onore di un cardinale di origini tedesche (il vermouth dry sostituisce il rosso, e fa capolino la scorzetta di limone); al Negroni Sbagliato, inventato per caso nel 1972 da Mirko Stocchetto, titolare del Bar Basso di Milano, scambiando per sbaglio una bottiglia di spumante con quella del gin. E pure James Bond lo beve: nel racconto Risiko (1960), Ian Fleming fa ordinare all’agente segreto un Negroni con il Gordon’s.
Negroni
3 cl Gin
3 cl Bitter Campari
3 cl Vermouth Rosso
splash di soda (opzionale)
Si prepara direttamente nel bicchiere old fashioned, riempito con cubetti di ghiaccio, guarnendolo con mezza fetta d’arancia.