L’altra Bolgheri

da | Set 20, 2017

Mentre tutti cercavano di combattere Caronte tuffandosi in mare, io, da gran furbona, ho deciso di sfidare i 40° C in Toscana, per rigenerarmi con i corposi vini rossi che vengono prodotti nella zona di Bolgheri.

“I cipressi che a Bólgheri alti e schietti, van da San Guido in duplice filar…”
Così scriveva Carducci e gli amanti della letteratura conosceranno la zona proprio per i versi del poeta. In realtà questa striscia di terra, che corre parallela alle spiagge della costa toscana situate in provincia di Livorno, è anche terreno fertile per la coltivazione soprattutto di vitigni internazionali come Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc, gli stessi della rinomatissima Bordeaux.

E come nella città francese si producono vini che sono tra i più pregiati e costosi al mondo. Sassicaia, Ornellaia, Tignanello: prodotti eccellenti, nomi attraenti, occhi sognanti ma sicuramente non alla portata di tutti. A dirla tutta neanche alla mia.
Come fare dunque?

Dopo un po’ di ricerca e di passaparola ho contattato due piccoli produttori. Volevo avere la possibilità di vedere l’altra Bolgheri. Quella meno conosciuta, quella meno battuta dai turisti olandesi o dai facoltosi russi che arrivano nelle tenute in elicottero, quella che mi permettesse di parlare direttamente con il vignaiolo, di passeggiare tra la vigna e di assaggiare i suoi frutti.

Podere il Castellaccio

Questa scelta esula totalmente dalla realtà Bolgheri.
Appena arrivati, Alessandro Scappini, il proprietario, ci fa salire in macchina e ci accompagna a fare un tour nei terreni. Sole cocente di metà agosto, ulivi bellissimi, una piccola scarpinata e, davanti a noi, ci si presenta la vigna storica: 40 anni, Sangiovese, vitigno toscano per eccellenza, ma ormai poco coltivato in questa zona.
Il sogno e il progetto di Alessandro infatti iniziano proprio da qui: dalla tradizione, dal podere del nonno acquistato negli anni ’60 e dalla valorizzazione di vitigni autoctoni. Tra questi, oltre al Sangiovese, Ciliegiolo, PugnitelloFoglia Tonda, ormai praticamente scomparsi dal patrimonio viticolo locale ma che permettono a questa realtà di ottenere due prodotti decisamente interessanti dal punto di vista qualitativo: Dinostro e Valente.

Dinostro è un Sangiovese in purezza. La fermentazione e la macerazione avvengono in tini d’acciaio mentre l’affinamento, di 12 mesi, in botti da 20 ettolitri e almeno per altri 6 mesi in bottiglia. Rosso intenso, un tripudio di frutta di bosco, in bocca presenta quella giusta acidità che lo rende piacevole da bere anche di giorno nella stagione più calda. È un vino che trasmette un senso di appartenenza ad un territorio e che quindi è giusto accompagnare con piatti della tradizione toscana e livornese, da un buon tagliere di salumi e formaggi locali ad un caciucco.

Valente è l’espressione del progetto di Alessandro: 70% Sangiovese e un 30% suddiviso tra Ciliegiolo, Foglia Tonda e Pugnitello. Stessa procedura di fermentazione e affinamento in botte di Dinostro ma 6 mesi in più in bottiglia prima della commercializzazione.
Il colore è luminoso, al naso i frutti di bosco si trasformano in frutti a bacca nera conditi di spezie, in bocca è morbido, elegante, pieno, perfetto per essere servito con una buona carne grigliata.

Ma non è finita. Della frase “Un sorso dal passato, con lo sguardo verso il futuro” Alessandro non ne ha fatto solo un motto. Qualche anno fa ha deciso di impiantare anche il Cabernet Franc, in parte allevato ad alberello (forma di allevamento della vite soprattutto utilizzata al sud) e con l’aiuto di un cavallo che, con gli zoccoli, compatta il terreno mantenendolo però soffice e areato. Da questa vigna aspettiamo solo che venga prodotto un vino in purezza che rientrerà nella DOC Bolgheri. Insomma, faremo lo sforzo di ritornare…

Mulini di Segalari


L’azienda agricola Mulini di Segalari non è semplice da trovare. Non si trova sulla Bolgherese, la strada del vino. Per arrivarci bisogna imboccare la via di fronte al Podere il Castellaccio, percorrere un bel tratto di strada sterrata in discesa ed attraversare un piccolo guado. Ma lo sforzo viene subito ripagato.

Ad accoglierci c’è Marina Tinacci Mannelli e la sua meravigliosa storia, un architetto che ha deciso di cambiare la sua vita e che nel 2002 ha acquistato un terreno incolto accanto ad un bosco e i vecchi mulini di Segalari, li ha ristrutturati e ha iniziato a impiantare Merlot, Petit Verdot, Syrah, Cabernet Sauvignon, Sangiovese, Vermentino, Viogner e Incrocio Manzoni.

In vigna il lavoro è naturale, la produzione è biodinamica, nessuna concimazione chimica ma solo sovescio, un’antica tecnica colturale con semina di orzo, rafano, senape, rucola che cambia ogni anno. Questa aumenta la biodiversità e incrementa la vegetazione che, a sua volta, diventa un naturale concime per il terreno del filare.
Marina è una forza della natura: quando ti accompagna in vigna, quando ti fa assaggiare i suoi frutti, quando ti mostra le piccole piantine (barbatelle ndr) di Cabernet Franc e quando condivide la degustazione. Quattro vini e quattro viaggi, per le papille e per gli occhi (le etichette sono tutte riproduzioni di suoi acquarelli).

Un po’ più su del Mare (Vermentino), è il vino bianco tipico della zona. Diverso dal Vermentino al quale siamo abituati noi liguri, al naso sentori erbacei e fruttati esprime una buona mineralità e ad una notevole struttura. In fondo serve un vino da accompagnare al pesce pescato dall’altra parte della collina.

Soloterra (Sangiovese). Il vino matura in giare da 500 litri realizzate con l’argilla dell’Impruneta. La naturale porosità della terracotta e la sua forma a uovo conferiscono al vino una maturazione perfetta. Rosso brillante, intenso ed elegante al naso con sentori che si ritrovano anche assaggiandolo, quando esprime tutto il suo carattere. È un vino diretto, autentico e soprattutto piacevole da bere. Da abbinare necessariamente a cibi dai gusti schietti come un salame di cinghiale.

Ai confini del bosco (blend di uve Merlot, Cabernet Sauvignon, Petit verdot, Syrah, Sangiovese che varia a seconda delle annate). È il Bolgheri Doc, maturato in grandi botti di rovere per 13-15 mesi, colore intenso, profumi di ciliegia matura e di erbaceo. Un giusto equilibrio tra potenza ed eleganza. Come il suo “fratello maggiore”, il Bolgheri Superiore Mulini di Segalari, in questo caso affinato in botti di rovere per 20 mesi e successivamente in bottiglia. Assolutamente all’altezza delle etichette blasonate che distano pochi chilometri. Null’altro da aggiungere se non che è da gustare in una fredda serata invernale con piatti di selvaggina o con una tagliata di Chianina.

E se volete provare un’esperienza diversa, l’azienda di Marina fa parte del WWOOF (World-Wide Opportunities on Organic Farms), un’organizzazione che mette in contatto le fattorie biologiche con volontari che contribuiscono al lavoro in cambio di vitto e alloggio. Un’ottima occasione per chi vive in città di toccare con mano queste realtà.

Autore

Elena Benacchio

Ragazza dai gusti difficili: le piacciono rossi ma morbidi, bianchi ma secchi… Maniaca di fotografie al cibo, si dedica frequentemente al “foodporn”. La nostra sommelier, da trent’anni invecchia nella classica “botte piccola” ed è amante del vino buono

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