Una notte di pesca

da | Mag 23, 2012

chiari in b/nVenerdì 30 marzo. L’appuntamento è alle 19.15, nel canale di calma del porto di Prà. Il Sirio è ormeggiato, tra altre barche, apparentemente senza nessuno a bordo. Ma i rumori dalla cambusa tradiscono la presenza di Germano, detto Paride. Salgo sulla nave, mi affaccio alla porta. Paride ha 77 anni: ne dimostra dieci di meno, è abbronzato, e impegnato a preparare la cena per l’equipaggio. Oggi sono ospite di Giovanni Bignone, capitano del Sirio, storica barca da pesca genovese. Pesca alla lampara, preda il pesce azzurro. Un tempo era comune. Oggi a farla sono rimaste una dozzina di barche in tutta la Liguria.

Mentre scambio qualche parola con Germano, arriva Giovanni, con Giuseppe, suo fratello. E poi il pullmino dell’equipaggio. Ragazzi giovani, sotto i 30 anni. C’è da scaricare il ghiaccio, per metterlo nelle baie, i grandi contenitori che ospiteranno il pescato della notte nel ritorno verso casa. [quote_right]Una volta si andava con i gozzi, si buttavano le barche in mare dalla spiaggia, si rimaneva all’umido tutta la notte[/quote_right]E da controllare le luci dei chiari, che serviranno ad attrarre il pesce, prima della calata. Alle venti, la barca si mette in moto. Il capitano è al timone; l’equipaggio, invece, si riunisce a tavola, dove spuntano trenette al pesto, vino rosso, una fetta di colomba, caffè. Menu territoriale, dosi abbondanti. La televisione è accesa, la nottata da venire. Costeggiando Genova all’interno della diga, c’è il tempo di intervistare il capitano. A babordo sfilano l’aeroporto, le acciaierie di Cornigliano, poi la Lanterna, il grande porto e il Porto Antico, con il bigo, l’Acquario e i Magazzini del Cotone.

carte“I Bignone sono la famiglia di pescatori più antica della Liguria. Il mio bisnonno era già pescatore, e poi mio nonno, e mio padre. Io sono salito sulla barca a 14 anni, dopo la licenza media. A 22 anni ho preso il timone. Ora ne ho 58, e non l’ho mai mollato” mi racconta Giovanni. Nelle sue parole c’è un misto di fierezza e fatalità: la fatalità di chi nella vita non avrebbe potuto far altro, e null’altro ha immaginato per sé. Il Sirio è una barca lunga venti metri, larga cinque e mezzo, costruita da tre fratelli nel porto di Chiavari nell’anno del Signore 1984. “Una volta si andava con i gozzi, si buttavano le barche in mare dalla spiaggia, si rimaneva all’umido tutta la notte. C’era la barca con la rete e la barca con i chiari. Le reti subito dopo la guerra erano di cotone, tutti i giorni bisognava metterle ad asciugare sulla spiaggia”.

al tavoloOggi la pesca è certo più comoda. E tecnologica. C’è il radar che ti segnala le secche, e l’ecoscandaglio, strumento indispensabile per individuare i banchi di pesce. Ma è anche una pesca che porta meno denari “perché il gasolio costa caro, e tra combustibile, ghiaccio ed equipaggio in regola spendo almeno 700-800 euro a notte”. E poi ci sono le recenti limitazioni della pesca invernale ai gianchetti (il novellame di acciuga o sardina), che dava sostentamento ai pescatori d’inverno.
“Ora si pesca da marzo-aprile, dipende dall’inverno, fino a settembre-ottobre. Sette-otto mesi, in cui dobbiamo tirare fuori i conti di un anno. Poi in inverno sistemiamo l’attrezzatura, mettiamo a posto le reti. Siamo impegnati, ma senza guadagnare”. E così è per l’equipaggio: sette mesi a contratto, e poi l’assegno di disoccupazione invernale. Le banche che non concedono mutui o prestiti per contratti del genere, e famiglie da mantenere. “Trovare dei ragazzi che vengono in mare non è facile, si lavora di notte, sei a contatto col vento, con l’acqua”. E con l’imprevedibilità del mare. Un giorno calmo, il giorno dopo mosso. Un giorno generoso di pesci, e poi magari spietato.

ciurmaUsciti dal porto, la barca inizia a ballare. Mare lungo. Mare fastidioso, per chi, come me, non è abituato. Sono le 21.30, la notte è iniziata. Siamo quasi al largo di Bogliasco, dove la sera prima la rete del Sirio ha pescato 1400 chili di acciughe. L’ecoscandaglio è acceso. Il capitano inizia a girovagare sulle onde, a bassa velocità, cercando il posto giusto per la pesca. C’è ancora tempo per qualche parola, per qualche curiosità. “Perché peschiamo pesce azzuro? Perché ce l’hanno insegnato i nostri genitori. Altrimenti magari faremmo strascico, e passeremmo il giorno a sciabicare il fondo”. A descriverla, la pesca alla lampara può sembrare facile: quando l’ecoscandaglio segnala un buon banco di pesci, dalla barca scendono i chiari, due piccole barche a remi con le luci puntate verso il mare, per attrarre ed aggregare il pesce spingendolo verso il pelo d’acqua. Poi scende la stazza, una barca a motore che servirà per non far imbrogliare la rete. E quando è il momento, si getta la rete, con un movimento circolare. Poi non resta che tirarla su, con l’aiuto della gru, col suo carico argentato e vivido che risplende nella notte. A bordo, il pesce viene suddiviso per tipologia in casse da dieci chili, mentre la barca torna verso casa. Ad attenderla al porto, ci sarà l’alba o il mattino, e il camion del grossista, che porterà il pesce al mercato di Genova e Savona. Sarà lui a mercanteggiare il prezzo, variabile incerta tra mille variabili, sulla quale i pescatori contano come un due di briscola.

[articolo pubblicato sul periodico Papillon 63 edito da Comunica Edizione – direttore Paolo Massobrio]

il comandanteIl tempo passa, l’ecoscandaglio stasera non promette molto. Ma alle 23 un chiaro scende in mare. L’acqua attorno alla barchetta diventa blu intenso, trasparente, fosforescente. Come all’interno di certe grotte. Alla luce del chiaro, si vede il respiro del mare, lungo, lungo, onde lunghe che salgono e scendono, mentre la barchetta resta lì, immersa nel rumore del generatore elettrico, buia al centro della luce, a corteggiare le acciughe.

Sul Sirio intanto l’equipaggio riposa, seduto sulle panche, sdraiato sotto le panche, accovacciato all’interno di una baia vuota. Contorsionismi raffinati, o più semplicemente tutta la stanchezza di una settimana di nottate bianche. Solo il comandante è sempre vigile, immerso nei suoi pensieri, vigile e solitario, concentrato a decifrare i segni del mare e dell’ecoscandaglio. Il Sirio si muove lento, si allontana dal chiaro, poi ci si riavvicina.

Passano le ore. Chiedo al capitano se è dura avere famiglia con questo lavoro. “Dura no, difficile. Però sono soddisfatto. Mi sono sposato, ho due figli, sono diventato nonno di un bel nipotino” sorride, anche se il timore di fare cappotto, di non pescare nulla, aumenta. L’ecoscandaglio evidenzia un banco di pesce, al fondo, 95 metri sotto la barca. La luna crescente inizia ad essere nascosta dalle nuvole. “Se sono acciughe, saliranno attratte dalla luce, altrimenti stasera non peschiamo”.
A distanza di un paio di chilometri il chiaro di un altro peschereccio si accende, mentre sul fuoco borbotta la macchina del caffè, rito consuetudinario di chi lavora la notte.

Daniele, 25 anni, mi racconta di quando d’estate alcuni fanno il bagno, dopo la calata. Di quanto è bella la rete carica di pesci. Di suo padre e suo fratello che sono stati anche loro pescatori, ma non hanno mai avuto la barca. Ma questa sera, nessuna calata, non c’è l’occasione. Alle due e mezza, il capitano dà l’ordine di riportare a bordo il chiaro. L’equipaggio, con gli occhi ancora assonnati, si muove veloce, e veloce ritorna ad assopirsi. Si riparte verso casa.
Il capitano quasi si scusa, per non avermi potuto mostrare lo spettacolo della pesca. E io gli rispondo che non importa, perché mi ha mostrato qualcosa di più profondo: l’imprevedibilità riottosa del mare, l’arcaica indecifrabilità dei suoi abissi.

Autore

Alessandro Ricci

Sotto i 40 (anni), sopra i 90 (kg), 3 figlie da scarrozzare. Si occupa di enogastronomia su carta e web. Genoano all’anagrafe, nel sangue scorrono 7/10 di Liguria, 2/10 di Piemonte e 1/10 di Toscana. Ha nella barbera il suo vino prediletto e come ultima bevuta della vita un Hemingway da Bolla.

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