Non so voi, ma a me, in alcuni negozi di cui sono cliente affezionato, capita sovente di instaurare, col negoziante, dialoghi sospesi tra il sibillino e il surreale. Un esempio? Eccolo, in pescheria:
– Vorrei un’orata.
– Ehm, no, meglio di no.
– Ah, bene, allora cosa posso prendere? Le acciughe vanno bene?
– Sì, le acciughe sono freschissime!
E così può succedere dal macellaio, e, più raramente, anche dal fruttivendolo.
Poi, da quando vado a fare la spesa con Teresa, la mia bimba di quattordici mesi, le (mie personali) dinamiche commerciante-acquirente hanno subito un’ulteriore evoluzione. L’ultimo caso, ieri, dal fruttivendolo.
– Vorrei dei pomodori maturi, da sugo.
– Li ho ottimi.
Poi, guardando Teresa, la commessa mi fa, con fare cameratesco:
– Ma sono per il sugo della bimba? Allora, aspetti, che le cerco i migliori!
Non c’è nulla di male, per carità. Solo che mi pongo qualche domanda.
È una buona pubblicità per il negoziante far intendere, con mezze frasi, che parte della mercanzia esposta non è di primissima qualità?
E all’acquirente, conviene dichiarare, prima dell’acquisto, di essere in possesso di un bimbo al di sotto dei 36 mesi, per avere il meglio del negozio?