Io amo cucinare, e lo faccio in un grande silenzio perchè cucinare significa pensare, essere consapevoli, essere presenti e avere un senso forte della realtà e degli altri per i quali si cucina. Cucinando si è obbligati a una unificazione di aspetti molteplici: le leggi culinarie, le attese di chi mangerà, la conoscenza dei prodotti, l’esperienza del fuoco, dell’acqua, del tempo… Operazione straordinaria che rende intelligenti. Si pensi, per esempio, a un’operazione che al tempo della mia infanzia e adolescenza era quotidiana: preparare la “salsa” per la pasta, quello che oggi si chiama sugo o ragù. Al mattino presto la donna di casa, la madre di famiglia iniziava le operazioni: faceva un battuto di lardo e con la mezzaluna – questo essenziale e glorioso arnese da cucina – tritava le cipolle bionde e lo scalogno che poi lasciava soffriggere nel tegame di terracotta senza che rosolassero; a un certo punto aggiungeva sedano e carota tritati, rosmarino, salvia, due foglie di lauro, un pizzico di pepe e continuava a far cuocere il tutto a fuoco bassissimo (e anche questo richiedeva non poca abilità, se si considera che non si usavano i fornelli a gas, bensì la “cucina economica”, sapiente trasformazione dell’antico focolare in un piano in ghisa con anelli concentrici riscaldato dal sottostante fuoco a legna). Quindi si aggiungeva la carne a pezzetti: non sempre, dati i tempi di miseria, ma ogniqualvolta bisognasse “segnare la festa”. Allora apparivano i fegatini di pollo, un po’ di carne di vitello o di maiale, una volta che questa era rosolata, ecco la “conserva” di pomodoro, preparata d’estate e messa in bottiglie. A volte si innaffiava con un buon vino rosso e si salava il tutto con molta attenzione alla misura… Tutto fatto? No, il ragù doveva sobbollire lentamente per due o tre ore, finchè si fosse addensato e ricoperto di un velo scuro dato dai succhi delle carni. E poi, la “salsa”, il ragù non doveva mai essere abbandonato a se stesso, in nessuna fase della sua cottura: se non è sorvegliato, soffre! Nulla induce alla riflessione come l’accudire a un ragù…
Enzo Bianchi – Il Pane di ieri (Einaudi, 2008)