20 anni di Molly Malone’s

da | Ott 3, 2019

36 spine, 6900 litri di birra in fusto, 3 punti ristoro. E – soprattutto – due serate di musica che da queste parti non si sono mai viste: Modena City Ramblers e Punkreas. Nomi da migliaia di persone, che suoneranno per due sere a Multedo in uno spazio che di altisonante ha solo il nome. Giardini John Lennon. Solo Cito (al secolo Enrico Opisso) poteva organizzare tutto questo, per i venti anni del suo Molly Malone’s.

Chi è di Genova, chi è del ponente cittadino, sa di cosa scrivo. Un caso più unico che raro. Un pub irlandese incastrato tra l’autostrada e le case come una nocciolina tra i denti. Un pub orgogliosamente di quartiere. Un pub da più di 300 ettolitri di birra consumati l’anno.
Aperto nel 1999, in questi 20 anni ha accolto una fauna eteroclita di compagnie, professionisti della pinta, pivelli alle prime uscite, squadrette di calcetto, silenziosi e caciaroni, vinti e vittoriosi. Noi, seduti al bancone di legno, con una Guinness in mano, e una branda lasciata ad aspettare.

Venerdì 4 e sabato 5 ottobre – domani e dopodomani, dunque – il Molly festeggia così i primi venti anni. La prima serata tocca ai Modena, la seconda ai Punkreas. Il via alle 20, con l’apertura dei cancelli e i gruppi spalla (Libero venerdì, Frusta & Spillo sabato). I nomi grossi dalle 22 fino alle 24. Concerti gratis. E poi ancora birra fino alle 2, e i panini del Masetto, le jacket potatoes della Patateria Genovese e i piatti dell’Est del Kowalski. Una grande festa, che Cito si è regalato, regalandola al suo quartiere, alla città tutta.

Partiamo dall’inizio. Perché il soprannome Cito?
È un’eredita. Il Cito originale è mio fratello Riccardo, più vecchio di 5 anni. Quando era pivello uscì una delle tante versioni di Tarzan e gli amici per lui, che di glabro ha solo un leggero stacco tra la barba e la pelliccia del petto, fecero presto a coniare il soprannome. Poi crescendo hanno cominciato a chiamarlo Orco, e a me Citino, per poi diventare Cito, già in terza media.

Anche il Molly è un’eredità.
Qui prima c’era il forno di famiglia. Poi un po’ il giro di affari che diminuiva, un po’ la voglia di cambiare è nata questa idea, una sera di 22 anni fa, al Cantiere, il pub di Sestri Ponente. Per dispetto a mia moglie Stefania. C’era il pienone, e lei mi disse che non avrei mai avuto il coraggio di aprire un mio pub. L’ho accontentata.

Cantiere. Big Ben. Cantinone. Tartan. Britannia. Polena. Erano i pub di allora. Molti di questi sono vivi e lottano insieme a noi. Cosa volevi aprire?
Andavano di moda i locali a tema, e un vero Irish Pub in città non c’era. Contattai Guinness, che mi mandò un’azienda allestitrice. Mi proposero quattro stili: vittoriano, celtico, stile shop e country. Avrebbero preparato tutto in Irlanda, per poi scendere e montare il pub a 2.400.000 lire al metro quadro. Scelsi lo stile shop ma me lo feci preparare da una ditta di Mondovì, spendendo un milione in meno a mq. Il locale è rimasto identico.

Però è cresciuto, diventando qualcosa di unico. Come è successo?
Ce ne siamo accorti piano piano, e la cartina di tornasole è rappresentata dagli eventi. Non tanto San Patrizio, che è una festa tipica degli Irish Pub e della Guinness. Quanto la vigilia di Natale: anno dopo anno è diventato un appuntamento che raggruppa amici e compagnie. Ormai sono centinaia di persone. È qualcosa che non ha senso, un mistero della fede: racconta l’anima di questo pub.

Nel 2015 ci hai spaventato, minacciando la chiusura. C’erano clienti pronti a incatenarsi per te.
Successe dopo un San Patrizio, bloccato a metà dall’arrivo di sette volanti che mi fecero chiudere minacciandomi di denunciarmi e multarmi. Chiusi e mi beccai lo stesso una multa. Effettivamente la gran folla stava diventando un problema. Ma grazie a una serie di contatti – voglio ricordare Paolo Gozzi, Giovanni Lunardon, Mario Tullo – riuscii a interloquire con gli uffici giusti della Questura. Con l’appoggio dei vigili urbani, agli eventi abbiamo cominciato a chiudere la strada, creare parcheggi alternativi. È nato anche il mio impegno nel comitato di quartiere. È stato un nuovo modo di vivere il Molly.

Come hai vissuto i profondi cambiamenti del mondo della birra, lo shock delle artigianali, le aperture di locali di forte ricerca?
Ho avuto delle difficoltà, a cavallo del 2010. La Guinness, da sempre vista come birra di qualità, non era più il vertice assoluto. In bottiglia si iniziava a trovare qualcosa di particolare. Allora ho cambiato il fornitore, per avere più scelta, ho rifatto l’impianto, aumentato le vie a 12, migliorato la qualità del cibo. Senza stravolgere nulla: le birre base di un irish pub le ho sempre mantenute.

Aggiungerei due aspetti. La tua Guinness non teme confronti. E il tuo staff ti fa dormire sonni tranquilli.
Vero. Gabriele lo scorso 9 settembre ha festeggiato 10 anni dietro il banco del Molly. Iacopo ha pochi anni in meno di servizio. E poi arriverà Mario, mio figlio: ha 15 anni, ma agli eventi qualche birra alla spina vuole servirla pure lui. Sono pochi i locali che hanno dipendenti decennali. Trovare facce conosciute non solo tra i clienti, ma anche dietro il banco, fa parte del vero pub.

Quali sono le caratteristiche del bravo publican?
Deve piacergli il suo lavoro. Io lo vivo come se fosse aria da respirare, non posso farlo diversamente. Poi serve empatia. Quando arriva un nuovo avventore, hai 10/15 secondi per capire alla grossa il personaggio. Noi giochiamo con il trattare confidenzialmente il cliente, arrivando a sfotterlo, al “ma sei qui anche stasera?”.

I clienti del Molly. Chi vuoi ricordare?
Due per forza, due clienti che non ci sono più: Villa e Macciò. Fanno parte della fauna del Molly, li senti nell’aria. Villa è sempre lì, in quella maglietta del Molly esposta all’ingresso, quella che indossava quando è entrato all’ospedale. Poi voglio ricordare Claudio “Pianura”, genoanissimo, il primo diffidato d’Italia. E sull’altra sponda il “nonno” Flavio Giacchero da Campoligure. Squinternati in un luogo di squinternati, da cui però esce sempre qualcosa di buono. Beninteso, ho anche clienti che lavorano alla Ferrari o all’Agenzia Europea Aerospaziale, mica solo asini ubriaconi.

La fedeltà dei clienti sono le tue stellette da ufficiale, meglio, i tuoi scudetti ricamati sulla sciarpa.
Sì. Ma tra le soddisfazioni mi piace ricordare anche la chiamata di Guinness, due anni fa, per rappresentarla alla Beer Attraction di Rimini, una delle più importanti fiere per operatori del settore. Lì ci siamo tolti delle belle soddisfazioni. Tutti hanno apprezzato la nostra Guinness.

Qual è il suo segreto?
Freschezza e spillatura, senz’altro. Ma anche il particolare beccuccio che uso, che ha buchi dal diametro leggermente più piccolo. Mi permette di fare meno bolle sulla schiuma, e di disegnare quadrifogli perfetti.

E allora facciamoci una Guinness, per questi primi vent’anni. Li abbiamo passati insieme. Siamo cresciuti, salutato amici, diventati padri e uomini, perso e vinto partite a calcetto, ammainato bandiere, messo su chili, rincorso utopie. Il bancone del Molly sempre lì, un confessionale dove abbiamo raccontato la nostra vita. “Dopo tante domande, te ne faccio una io” mi dice alla fine Cito. “Ti ricordi la festa dei tuoi vent’anni? Io no, ero ubriaco.” No, non la ricordo, ho sempre odiato le feste di compleanno. Ma domani sarò alla tua, per vedere l’effetto che fa. Buon compleanno, Molly.


illustrazione di Luca Tagliafico

Autore

Alessandro Ricci

Sotto i 40 (anni), sopra i 90 (kg), 3 figlie da scarrozzare. Si occupa di enogastronomia su carta e web. Genoano all’anagrafe, nel sangue scorrono 7/10 di Liguria, 2/10 di Piemonte e 1/10 di Toscana. Ha nella barbera il suo vino prediletto e come ultima bevuta della vita un Hemingway da Bolla.

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