“Hanno fatto un deserto e lo chiamano pace”

da | Nov 1, 2011

Piovono da più parti provvedimenti restrittivi, adottati d’urgenza per risolvere situazioni complesse.
Mi riferisco alla scelte di certe amministrazioni comunali (prima di centrodestra, ma anche il centrosinistra non è rimasto indietro) di bloccare le licenze per nuove aperture di street food o negozi etnici nei centri storici delle città italiane. O all’ordinanza del comune di Genova (analoga ad altre adottate da grandi comuni italiani) che vieta, qualsiasi giorno della settimana e in qualsiasi zona della città, la somministrazione di alcol in bottiglie di vetro dopo le 22.

Hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato pace” scriveva Tacito sintetizzando la politica che l’Impero Romano utilizzava per tenere a bada le bizze delle terre colonizzate. Oggi non ci sono terre da colonizzare, ma la politica del deserto è ancora in voga.

Il comportamento di chi amministra (le città, le regioni, lo stato [penso ad esempio alla famigerata tessera del tifoso]) è quello di chi prende un provvedimento essendo già sconfitto. L’urgenza e non la prevenzione è la prima sconfitta. La seconda, forse anche più grave, è quella di proibire a tutti perché incapaci di gestire una minoranza.

Vietare l’apertura di un nuovo kebabbaro turco nel centro di una città potrebbe essere anche una idea sensata, in linea di principio. Ma sarebbe più lungimirante e utile salvaguardare concretamente le vecchie botteghe storiche che stanno sparendo dalle grandi città. Sostenere concretamente non significa dare una targhetta e via: questo è sostenere simbolicamente, e coi simboli, oggi più che ieri, è dura campare. Significa gestire i piani regolatori sociali della città in modo da non soffocare i piccoli con la tirannia della grande distribuzione. Significa agevolare fiscalmente le piccole (e meritevoli) botteghe. Significa modulare le mille norme burocratiche secondo la logica del buon senso: ad esempio, non equiparando il piccolo al medio e il medio al grande. Perché Davide e Golia sono l’eccezione, non la regola.

Insomma, vorrei poter girare la mia città con una birra in mano, anche alle ventidue e un minuto, scegliendo in libertà se mangiare turco, messicano o tipicamente italiano. In santa pace, e non nel deserto.

Autore

Alessandro Ricci

Sotto i 40 (anni), sopra i 90 (kg), 3 figlie da scarrozzare. Si occupa di enogastronomia su carta e web. Genoano all’anagrafe, nel sangue scorrono 7/10 di Liguria, 2/10 di Piemonte e 1/10 di Toscana. Ha nella barbera il suo vino prediletto e come ultima bevuta della vita un Hemingway da Bolla.

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