Le clamorose liberalizzazioni di Monti nel settore food&wine

da | Gen 23, 2012

C’è chi dice che sono troppe e chi troppo poche. Certo le misure prospettate da Monti sul tema delle liberalizzazioni non sembrano in grado di intaccare in maniera rilevante i privilegi di chi è casta o corporazione. Ma con le prossime misure, che interesseranno il settore dell’enogastronomia, assisteremo a una vera rivoluzione. Dubitate? Siamo entrati in possesso di un documento riservato: giudicatelo voi. La parola d’ordine è: LIBERALIZZAZIONE.

• Liberalizzazione dei prodotti di nicchia
Il pesto di Prà è buono ma è troppo poco? Allarghiamo la produzione a Piemonte e Toscana, con una puntatina in Emilia Romagna e Lombardia. Il Lardo di Colonnata ha raggiunto i prezzi dell’oro? Basta con la poesia del piccolo è bello e facciamolo dove i maiali si contano a migliaia di migliaia. Il Ragusano è difficile da reperire? Prepariamolo in Valle d’Aosta, con il latte delle mucche Limousine. I prezzi scendono, assicurato. Dunque: ogni prodotto di nicchia può essere fatto ovunque.
Risparmio ipotizzato: – 350 euro di spesa a famiglia.

2- Liberalizzazione di ogni DOC e DOCG
Abbiamo n° doc in ascesa costante giorno dopo giorno? Siamo arrivati alla DOCG del Piave Malanotte e del Cannellino di Frascati? Il Governo Monti ha in mente di liberalizzare tutto. Barolo in ogni dove, Prosecco in tutta Italia, Sciacchetrà in produzione industriale nella bassa padana. E quando allargheremo la regola all’Europa, Champagne e Tokai saranno nostri vini. Dunque: aumento della produzione, dequalificazione dei prodotti di punta.
Risparmio ipotizzato: -250 euro di spesa a famiglia.

3- Liberalizzazione dei blog e siti a tema eno-gastronomico
Abolite d’ufficio le recensioni d’autore. Interdetti i Caffarri e i Cossater di turno. La critica gastronomica sarà affidata a blog e siti di recensioni con sistema perlopiù anonimo. Così facendo, le critiche saranno livellate, e i ristoranti la smetteranno di proporre piatti assurdi per maniaci del topinambour e del piccione selvaggio. Dunque: spaghetti alla bolognese per tutti, fritto misto decongelato a go-go.
Risparmio ipotizzato: – 300 euro di spesa a famiglia.

E’ uno scenario incredibile? Sì, può essere. Ma a volte la realtà può essere ancora più sorprendente. La prima relazione sulla contraffazione alimentare, firmata dalla commissione parlamentare d’inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale, ha portato alla luce una sconcertante verità: ovvero, finanziamenti del Ministero dello Sviluppo economico destinati, dopo vari giri e remesci, a prodotti taroccati prodotti all’estero. Il fenomeno è quello dell’italian sounding, prodotti che si rifanno a denominazioni italiane, ma che di italiano hanno solo il packaging ingannante. La relazione punta il dito contro la Simest Spa, il cui capitale è detenuto al 76% dal Governo Italiano tramite il Ministero dello Sviluppo economico e istituita nel 1990 per promuovere all’estero l’attività di imprese italiane. Grazie a un gioco di quote sociali in altre società, finanzia Lactitalia srl, società che produce in Romania formaggi ottenuti con latte ungherese e romeno, sulle cui confezioni però campeggiano marchi fallaci: Dolce Vita, Toscanella, Pecorino. La stessa Simest promuove le vendite all’estero di bresaola uruguaiana e culatello americano, prodotti negli Stati Uniti. E allora, se bisogna delocalizzare, almeno che si faccia in Italia!

Autore

Alessandro Ricci

Sotto i 40 (anni), sopra i 90 (kg), 3 figlie da scarrozzare. Si occupa di enogastronomia su carta e web. Genoano all’anagrafe, nel sangue scorrono 7/10 di Liguria, 2/10 di Piemonte e 1/10 di Toscana. Ha nella barbera il suo vino prediletto e come ultima bevuta della vita un Hemingway da Bolla.

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