5 cose che forse non sai sul vermouth (e che noi abbiamo imparato con 4 passi nel vermouth)

da | Mar 3, 2017

Dopo anni di oblio, il vermouth è ritornato di moda. Ed è bastato il battito d’ali di un lustro: nel 2010 le marche di vermouth in Italia si contavano sulle dita di una mano, oggi le etichette sono più di 60.

Nell’ambito delle iniziative dell’associazione culturale Papille Clandestine, abbiamo organizzato una serata tutta dedicata al vermouth. Ospite d’eccezione, Fulvio Piccinino, miscelatore, storico del bere miscelato, grande esperto di questa tipologia di bevanda (e autore del libro Il Vermouth di Torino – ed. Graphot). Con lui, abbiamo appreso una serie di nozioni ma, soprattutto, ficcato il naso nelle arbanelle di spezie ed erbe necessarie per la concia di un buon vermouth. Per poi assaggiare quattro vermouth in sequenza: il Vermouth 18 / 70 di Dogliotti (bianco, a base di vino Moscato Bianco), il Vermouth Bagascio rosso di Andrea Bruzzone, il Dopo Teatro Vermouth Amaro di Cocchi e il Punt e Mes di Carpano.

È stata una bellissima serata. Per chi non c’era, ecco le foto di Francesco Zoppi e qualche piccolo segreto. Buon vermouth a tutti!

I vermouth assaggiati (© Francesco Zoppi)

Si chiama vermouth perché…
Wermut, in tedesco, significa artemisia (o assenzio), l’erba che caratterizza questo prodotto. Il nome sembra sia stato dato dallo stesso Carpano, l’inventore ufficiale del vermouth, come omaggio alla sua passione per Goethe. Ma c’è probabilmente una ragione più sottile, legata a Casa Savoia, che si affannava a dimostrare che la casata discendesse dal Re Ottone II di Sassonia. Poter dare un nome teutonico a un prodotto simbolo del Piemonte, significava sancire ulteriormente il legame con la Germania.

Il vermouth è torinese perché…
La storia dei vini conciati, ossia addizionati di erbe, frutta e spezie, comincia con i vini ippocratici dei greci e romani. Ma il vermouth come lo conosciamo oggi è tipicamente torinese.

Alla fine del XVIII secolo, a Torino – ha spiega Fulvio Piccinino – si verificarono una serie di situazioni che resero possibile la magica alchimia per la nascita del vermouth. Prima fra tutte, la disponibilità delle spezie necessarie alla sua produzione, che arrivavano dal porto di Genova. Poi la presenza di uva moscato, vitigno autoctono fortemente zuccherino e aromatico, vera chiave di volta del prodotto. Infine, colui che con il suo ingegno fu artefice delle creazioni che portarono al primo vermouth, Antonio Benedetto Carpano”.

Benedetto Carpano, leva 1765, di origine biellesi, era un garzone di bottega poco più che ventenne nella liquoreria rivendita vino Marendazzo in piazza Castello, allora piazza delle Fiere. Il primo vermouth lo elaborò nel 1786. E fu immediato successo, tanto che il locale venne convertito in un bar aperto 24 ore su 24, per soddisfare le richieste dei clienti.

Fulvio Piccinino (© Francesco Zoppi)

Rosso, o bianco: non dipende dal vino utilizzato
Vermouth bianco (e dry) da vino bianco, vermouth rosso da vino rosso? Macché. Il vermouth, che sia bianco o rosso, si fa a partire da vino bianco: oggi soprattutto Trebbiano, un tempo Moscato. La differente colorazione deriva dalle erbe (amare e aromatiche) e spezie, e soprattutto dallo zucchero bruciato o caramello utilizzati come coloranti.

Ma il vermouth nasce dorato
Già: fino al 1912, ne esisteva una sola tipologia, di un bel colore dorato carico, tendente all’ambrato. È Gancia a lanciare sul mercato la versione bianca, caratterizzata dalla presenza di petali di rosa e fiori di sambuco, pensata per un pubblico femminile. Negli anni successivi, per differenziarsi, il vermouth dorato si scurisce fino a diventare rosso, più amaro e complesso, contraddistinto da spezie scure, legni e cortecce.

Le erbe del vermouth (© Francesco Zoppi)

La citazione (o marchetta?) di Hemingway
Mi chinai a prendere la bottiglia di Cinzano e me la tenni diritta sullo stomaco, col vetro freddo contro lo stomaco, e bevvi piccoli sorsi lasciandomi impronte circolari sullo stomaco, dove appoggiavo la bottiglia fra un sorso e l’altro; e guardavo scendere il buio fuori sui tetti della città. Le rondini volavano a giri e io le guardavo, e guardavo i gufi notturni che volavano sui tetti e bevevo il Cinzano”.

In Addio alle armi Ernest Hemingway cita il vermouth, o meglio, una nota marca di vermouth, testimoniando quanto il vermouth fosse popolare allora, alla fine della prima guerra mondiale, quando all’aperitivo, per tutti, scoccava l’ora del vermouth. Predilezione per il Carpano o non troppo velata pubblicità?

Le droghe del vermouth (© Francesco Zoppi)

Il vermouth

Il vermouth è un prodotto composto almeno da 75% di vino, fortificato e aromatizzato con un’infusione alcolica contraddistinta da erbe e droghe, tra le quali deve essere presente necessariamente l’Artemisia (normalmente vengono utilizzate le varietà Pontica e Absinthium). Per la dolcificazione la legge permette l’uso di zucchero bruciato (ottenuto dal riscaldamento controllato del saccarosio, senza aggiunta di acidi o additivi chimici), saccarosio, mosto di uve e mosto di uve concentrato.

Sono cinque le categorie ammesse (bianco, rosso, rosé, dry, extra dry). Le prime tre devono avere un grado alcolico minimo di 14,5° e un tenore zuccherino minimo di 130 gr/l. Il dry deve avere un grado alcolico minimo di 16° (ma quelli in commercio non scendono mai sotto i 18°) e un residuo zuccherino inferiore a 50 gr/l, mentre per l’extra dry non può superare i 30 gr/l. Consiglio fondamentale: una volta aperta la bottiglia di vermouth, va conservata in frigo e consumata in tempi rapidi.

I partecipanti (© Francesco Zoppi)

Autore

PapilleClandestine

Blog di panza e sostanza. Uni e trini, come quell'altro più famoso (per ora): con Alessandro Ricci, Daniele Miggino e Giulio Nepi. Si parla e si cazzeggia su minuzie gastropiacevoli quali cibo, vino, birra, mondo

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