Guida essenziale al Preboggión

da | Mag 12, 2017

Scixerboa, S-cioppettina, Rattalaegua, Radiccia sarvaega: all’uscita papilla del 6 maggio scorso a tema Preboggión, abbiamo anche ripassato un po’ di dialetto zenéize insieme a Viviana Bobbio, naturalista e preparatissima guida che non ha temuto gli oltre 30 partecipanti. Grazie a tutti coloro che hanno preso parte a questo appuntamento!

Ci siamo incontrati a Genova – Cornigliano (presso il Circolo Arci di Via Nino Cervetto) e, con una facile camminata, ci siamo inoltrati in un polmone verde di cui non immaginavo l’esistenza: Valletta di Rio San Pietro. Un parco quindi, ma in un certo senso un supermercato a cielo aperto, se si sa cogliere il suggerimento della natura.

Ogni passo è stato un racconto, che è iniziato con le origini etimologiche del nome Preboggión: per scoprire le tre etimologie del nome guarda il video che abbiamo realizzato.

Come riconoscere quindi le erbe selvatiche che compongono questa miscellanea adatta – bollita e strizzata – per diventare base di minestre e zuppe, ripieno della pasta fresca o elemento caratterizzante di una frittata?

Abbiamo pensato che la condivisione del nostro personalissimo erbario digitale potrebbe essere utile, per cui lo trovate di seguito corredato dalle foto di Francesco Zoppi e con una breve descrizione breve di ogni piantina incontrata (spoiler: no, la Burage/boragine non c’era!).

Ovviamente non è esaustivo, e riportiamo anche alcune piante che non fanno parte del Preboggión. Ma racconta esattamente quello che abbiamo incontrato in una sola mattinata di maggio, in un parco di città.

 

Aglietto selvatico

L’Aglietto selvatico si riconosce in questo periodo dai piccoli fiori bianchi o rosa pallido, il fusto è semicilindrico o trigono. I fiori sono eduli ma delicatissimi (vanno tenuti per breve tempo in frigo), si conservano meglio i frutti, che si trovano sotto ai fiori in forma di capsule rosse dall’odore pungente.

© ph Francesco Zoppi

 

Alloro

Sempreverde dalle foglie coriacee e profumate, fiori gialli e per frutti bacche nere. Albero sacro ad Apollo, simbolo di sapienza e vittoria, cinge dall’antichità fronti importanti. In Siria viene utilizzato per la produzione di saponi delicati, da questa parte del mondo lo conosciamo maggiormente per le sue proprietà aromatiche in cucina (dall’arrosto al liquore) ed è un must per i suffumigi. Non è utilizzato per il il preboggion.

© ph Francesco Zoppi

 

Bardana (o lappassa)

La Lappassa o bardana: ne abbiamo incontrata una con enormi (!) foglie a forma di cuore. Per il massimo dell’ecologia: la foglia si può utilizzare come cartoccio edule.

© ph Francesco Zoppi

 

Caprifoglio

Il Caprifoglio è una pianta di tipo lianoso (rampicante) dalle foglie semplici a forma ovata color verde chiaro. L’infiorescenza è formata da 5 o 6 fiori bianchi o gialli e la corolla ha il tubo campanulato; la bocca si divide in due labbra, il superiore diviso in 4 lobi, l’inferiore è contenuto e ripiegato all’indietro; la fioritura avviene tra maggio e luglio. Il frutto non è edibile, i fiori (con moderazione) e le foglie sono ottimi in insalata.

 

Cicerbita (o Scixerboa)

Si incontra nei muri, sui tetti, nei ruderi, infatti l’abbiamo incotrata a bordo strada. L’aspetto è disordinato, le infiorescenze sono gialle e le foglie tenere si consumano in insalata, oppure bollite. In dialetto genovese la scixerboa è la monella, che corre qua e là ed è sempre spettinata!

 

Cicoria (o Radiccia Sarvaega)

Ha la rosetta di foglie lobate, le superiori sono lanceolate; le foglie giovani si usano in insalata, in passato le radici venivano tostate come succedanee del caffè.

 

Corbezzolo (o Armùn)

È stato così strano trovarlo in città! Chi ama fare passeggiate fuori porta lo avrà visto sulle alture di Prà, oppure affacciato sul mare tra Riva Trigoso e Moneglia. Il corbezzolo ha la proprietà di resistere al fuoco più delle altre piante della macchia e i suoi polloni sono i primi a rispuntare nelle zone colpite da incendio. Le sue bacche – in primavera verdi – maturano tra autunno e inverno, colorandosi di giallo e poi di rosso. Sono commestibili, anche se hanno proprietà fortemente astringenti: si possono utilizzare per preparare marmellate e liquori. Il miele di corbezzolo ha proprietà antiasmatiche e il suo sapore è amaro. Viviana ci ha raccontato che il suo nome scientifico “”Arbutus unedo” (unum edo = ne mangio solo uno) sia stato dato alla pianta poiché i suoi frutti sono poco digeribili.

© ph Francesco Zoppi

Dente de Can (o soffione o tarassaco)

utilizzato in medicina fin dai tempi dei Greci, il nome dialettale piscialetto sintetizza le sue capacità diuretiche se assunto in grande quantità. Le foglie si consumano in insalata oppure ripassate in padella. I margini delle foglie sono così ondulati da ricordare la dentatura di un cane; di questa erbetta si consumano le foglie tenere e steli nei ripieni e nelle frittate. Contiene ossalati (ovvero composti che si presentano in cristalli aghiformi che, quando si combinano con il calcio, danno origine all’ossalato di calcio. Si tratta di un sale insolubile che tende a precipitare sottoforma di cristalli e ad accumularsi nelle vie urinarie causando i calcoli renali). È consigliabile consumarla con moderazione. Questo però non vuol dire che le erbette selvati siano per forza di cose pericolose: gli ossalati sono presenti anche in altri alimenti da tutti considerati sani, come ad esempio gli spinaci.

 

Grattalingua (o Rattalaegua)

I fiori, gialli sono portati da uno stelo ramificato. Si potrebbe confondere con il tarassaco: per non incorrere in errore basta verificare se nel calice del fiore c’è una corona di brattee cuoriformi. Si mangiano solo le foglie tenere, crude in insalata, cotte nelle torte salate. Cosa sono le brattee che mi ha citato così la nostra Viviana? Si tratta di “foglie modificate”, me lo ha detto la Treccani.

 

Ortica

È un’erba selvatica perenne, cresce spontanea persino tra le macerie, è considerata infestante. Contiene diverse vitamine, soprattutto A (beta-carotene), C ed E, sali minerali, come sodio, potassio, magnesio, selenio e ha proprietà diuretiche, depurative, antinfìammatorie. La parte edibile della pianta è costituita dalle foglie giovani: si deve solo fare attenzione a non pungersi, perché perdono le proprietà urticanti in 12 ore circa. Le foglie (scottate e cotte) sono ottime nelle minestre, ma si può utilizzare come se fossero spinaci.

 

Papavero

Il Papavero può raggiungere un’altezza di 60 cm, quello nostrano è privo di sostanze quali morfina, codeina e papaverina che invece costituiscono parte integrante del papavero da oppio (diffuso in asia e in medio-oriente). L’utilizzo del papavero nostrano può considerarsi innocuo, se non si eccede con le dosi (ma questa indicazione vale per tutte le piante selvatiche). Le foglie tenere sono ottime in insalata e hanno un effetto calmante.

© ph Francesco Zoppi

 

Plantaggine (o Oegia d’ase)

È comune in luoghi anche aridi, resistentissima al calpestio. Le foglie, decisamente lunghe, hanno nervature ben marcate. Abbiamo imparato che è un antiinfiammatorio naturale e chi usa le foglie come cerotto d’emergenza. Le foglie tenere sono ottime nei ripieni.

© ph Francesco Zoppi

 

Pimpinella o sanguisorba

Cresce ai bordi delle strade, nei prati; arriva ad un’altezza di 80 cm, è ramificata, ha un fusto glabro e un’ombrella di fiori piccolissimi e bianchi. La radice essiccata ha proprietà antiinfiammatorie e le foglie tenere possono essere utilizzate – in modica quantità – per dare gusto aromatico alle insalate.

 

Rampunzi o rapino

Il Rampunzi o Rapino, si riconosce facilmente in questo periodo dal fiore violetto a forma di campanula. Questo fiore ha dato il nome al personaggio Disney Raperonzolo.

© ph Francesco Zoppi

 

Robinia

La Robinia pseudo acacia ha origini americane, sembra essere arrivata in Italia a metà Seicento. Si riconosce dalle foglioline ovali arrotondate all’apice, le infiorescenze – profumatissime negli esemplari femminili, la pianta è infatti dioica – si presentano a grappoli penduli di fiori bianchi e…croccanti. Sì, li abbiamo assaggiati e sono buonissimi. Dai fiori si ricava un ottimo miele (detto di acacia) e danno il meglio se passati in pastella e fritti.

© ph Francesco Zoppi

 

Rovo (o Spinon)

Lo Spinon cioè il rovo. Il nome del genere deriva da “rúbeo” io sono rosso: rovo, lampone, mora. Si può mangiare la pianta? Ovvio, dobbiamo utilizzare la cimetta. Lo “stelo” che può arrivare anche a 3 metri di lunghezza si chiama turrione ed è disseminato di spine. I primi germogli sono perfetti nelle minestre e nelle frittate. La mora la si trova a giugno.

© ph Francesco Zoppi

 

Sambuco

Il Sambuco si presenta come arbusto o piccolo albero che, però, in alcuni casi può raggiungere altezze anche superiori ai cinque metri. Le foglie sono opposte a due a due e i fiori piccoli, odorosi sono di colore bianco o bianco-crema. Da un distillato di fiori di sambuco, insieme ad anice, finocchio, menta, liquirizia ed altri aromi si ottiene un liquore digestivo, conosciuto con il nome commerciale di Sambuca.
Le principali proprietà terapeutiche del Sambuco sono: diuretica, diaforetica, antinevralgica, emolliente, lassativa o purgante, antifibrillante, emetico, antireumatica.

© ph Francesco Zoppi

 

Silene (o S-cioppettina)

La S-cioppettina o silene l’abbiamo riconosciuta dal fiore dai petali bianchissimi e il calice rigonfio, che suggerisce il gioco – quello di scoppiare tra le dita la capsula ormai secca – da cui deriva il nome. Le foglie tenere si usano bollite nelle minestre.

© ph Francesco Zoppi

Autore

Ilaria Miglio

Lady Papilla, il tocco femminile che mancava a quei tre. Donna dai mille interessi e perennemente in movimento, scrive ricette e dispensa consigli per sopravvivere ai sentimenti e agli ormoni

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