Iniziamo dalla fine, cioè dal bicchiere. Quella che mi arriva è una bevanda giallo ossidato, limpida, senza un filo di schiuma o la minima traccia di bollicina. Il naso è stupefacente: complesso, acuto, con note di limone e di vaniglia, legno, miele. Ma lo shock è l’assaggio: nessun accenno di frizzo, secchissima, acidula, beverina e con un treno di note retro olfattive che ti investe nel giro di un paio di secondi. Si resta senza punti di riferimento, ma che è, è birra questa?
Eppure sì, è birra. Anzi, è la birra, almeno a stare al giudizio del padrone di casa della Brasserie Cantillon, Jean-Pierre Van Roy: prima che Pasteur studiasse il funzionamento scientifico dei lieviti, la birra era così. Quello che è venuto dopo – cioè la birra che consideriamo oggi birra – è una bevanda nuova che centocinquant’anni fa non esisteva, semplicemente perché non si poteva produrre (e su questo direi che non ci piove).
Siamo a Bruxelles, nell’ultimo birrificio sopravvissuto alla strage delle piccole brasserie (erano un centinaio nel 1900) specializzate in lambic, le birre a fermentazione spontanea.
È un posto magico, e mi maledico per averlo scoperto solo al mio quinto o sesto passaggio nella capitale belga, anche perché è tutto tranne che sconosciuto: se il coglione sono solo io, bene; ma se anche per voi si sta per aprire un mondo nuovo, continuate a leggere e infilate la visita nel programma del vostro prossimo viaggio in Belgio.
Appena entrati si viene sopraffatti dall’odore di cantina, non quelle ipertecnologiche di oggi, ma quelle del nonno: polvere, olio motore e aceto. L’ambiente sembra un vecchio garage, col soffitto basso, pavimento in cemento, muri di mattone imbiancati alla buona. E tante ragnatele, perché i ragni – dice Jean-Pierre – sono
amici del birraio e porta male ucciderli. C’è ovviamente il banco degli assaggi, una stanzina con tavoli e sedie e l’angolo dedicato al negozio, ma a parte questo basta varcare la soglia e siamo già in pieno processo produttivo.
Al tempo, precisiamo: alla Cantillon la birra si fa solo da novembre a marzo, il periodo dell’anno in cui nell’atmosfera della valle della Senne sono presenti i lieviti necessari.
Perché il segreto di un lambic sta in gran parte qui; dopo che i cereali (orzo maltato e grano non maltato, rigorosamente biologici) hanno finito di bollire in acqua e luppolo, il liquido viene pompato in una grande vasca aperta, nel sottotetto (a sua volta aperto con finestrelle e spifferi vari), e abbandonato a se stesso per tutta la notte. Per fare la “birra” a questo punto si selezionerebbero dei lieviti speciali stockando tutto in inox, a temperatura e atmosfera controllata; per fare il lambic servono invece i microorganismi portati dal vento, circa un centinaio fra lieviti, spore e pollini, e una temperatura esterna compresa fra -2 e 7°.
È la fermentazione spontanea, baby.
Le magie di Lou Pepe (il nomignolo di Jean-Pierre) non finiscono qui, anzi, comincia il bello. Perché la birra-mosto viene a questo punto immagazzinata nei barili, di quercia o di castagno, dove continuerà a fermentare e a maturare per tre (tre!) anni. È qui che la chimica fa il suo corso: con tutto questo tempo a disposizione i lieviti disintegrano ogni particella di zucchero presente – e da qui viene l’astringenza – mentre la scarsa capacità di mantenere la pressione, tipica dei barili, porta l’anidride carbonica della fermentazione a disperdersi nell’aria invece che a sciogliersi nella birra – e da qui l’assenza di bollicine.
Risulta chiaro che un processo così naturale ed esposto a così tante variabili ha poi bisogno di un Mastro Birraio in grado di districarsi fra i mille risultati diversi ottenuti (ogni botte ha in pratica un gusto a sé), e Jean-Pierre, così come suo figlio Jean, la nuova generazione, risponde perfettamente all’identikit.
E qui torniamo all’inizio del percorso, ovvero al bicchiere.
Sono tre le famiglie di birre prodotte dalla Cantillon: Lambic, un blend di birre di tre anni; Gueuze, frizzanti, perché ottenute mescolando lambic “fermi” e lambic di un anno, in grado di far partire la “champagnizzazione” in bottiglia; Kriek, vasta famiglia di birre aromatizzate alla frutta (da kriek, ciliegia in fiammingo).
Più nel dettaglio:
- Grand Cru Bruocsella: il lambic.
- Gueuze: la gueuze, circa metà della produzione.
- Kriek: alla ciliegia. Anche qui, la frutta è 100% biologica.
- Rosé de Gambrinus: al lampone.
- Faro: lambic con aggiunta di sciroppo di caramello. Non esiste in bottiglia.
- Iris: straordinaria gueuze ottenuta da un lambic particolare, da solo orzo e luppolata a freddo. La rifermentazione viene provocata non con l’aggiunta di lambic giovane ma con il classico liqueur d’expedition della tecnica dello champagne.
- Vigneronne: all’uva bianca (moscato italiano), rifermentata col liqueur.
- Saint Lamvinus: all’uva nera (merlot e cabernet-franc francesi dalla zona del Saint-Emilion), come la Vigneronne rifermentata col liqueur.
- Fou Founne: all’albicocca (il termine indica l’organo genitale femminile).
- Lou Pepe: ovvero la famiglia delle birre millesimate. Ottenute senza mescolare i vari lambic, e facendole maturare in botti che precedentemente sono state usate per l’invecchiamento del vino Bordeaux. C’è la Lou Pepe Gueuze, Kriek e Framboise, queste ultime con il 50% di frutta in più.
La Brasserie Cantillon è sempre aperta alle visite, auto-guidate con una miniguida che vi daranno in loco. Ogni tanto fanno anche delle sessioni di brassaggio aperte al pubblico (informatevi sul sito o sulla loro pagina Facebook).