Oggi l’Italia gastronomica ha seguito col fiato sospeso la presentazione della Guida Michelin 2013, che nonostante sia sempre più criticata è pur sempre la dispensatrice del desiderio recondito-ma-anche-no di ogni cuoco mondiale: la stella.
Per il borsino stellare vi rimando alla dettagliatissima cronaca di Lorenza Fumelli su Dissapore. Qui ci limitiamo a commentare i risultati della ribollente, attivissima e irrefrenabile scena stellata ligure. Tranquilli, sarà un post breve: non è successo un belino.
Dalla Mortola a Montemarcello, dall’Antola al Bisagno, la pace delle papille è scesa sulla regione. Undici mono-stelle erano e undici mono-stelle rimangono.
A far la parte da leone è il ponente, che surclassa il resto della Liguria per 8 a 3: la futura provincia unificata savonese-imperiese nasce già sotto i buoni crismi gustativi. I nomi li conosciamo: Agrodolce a Imperia Oneglia, Paolo e Barbara a Sanremo, San Giorgio a Cervo, La conchiglia ad Arma di Taggia, Palma ad Alassio, Claudio a Bergeggi, Il vescovado a Noli e L’arco antico a Savona. Quasi una stella ogni venti chilometri, ma dopo Savona inizia il deserto dei tartari.
A Genova, nella desolazione crepuscolare di una città che invecchia e si impoverisce, resistono Baldin e The cook, agli opposti confini cittadini. Da Nervi in poi è il vuoto fino quasi alla Toscana, ad Ameglia, novella Fortezza Bastiani in salsa ligure, dove la Locanda delle tamerici scruta sconfortata l’orizzonte.
Resistere resistere resistere.