La cucina è una cosa seria

da | Giu 24, 2011

Levi Strauss, Brillat Savarin, Pellegrino Artusi. Tre nomi per dire che il cibo è prima di tutto qualcosa da raccontare, una storia di uomini, forse quella più importante, dalle lotte tribali alla pellagra alle ricette delle case borghesi di fine Ottocento.
Il cibo è qualcosa di serio, con cui non si scherza: al tavolo si fanno alleanze e si sciolgono i governi, si organizzano matrimoni, si stabiliscono piani di guerra.
Del cibo, però, come di tutte le cose più importanti che attengono al corpo, se n’è sempre parlato con circospezione. Difficilmente poteva arrivare nelle aule della politica, salvo poi rientrare per la porta di servizio.
Oggi, però, non è più così: la nuova moda, tra politica, sport e tv, è farsi beccare con le mani in pasta.

Il ministro della Sanità addenta un hamburger per dimostrare che sulla carne italiana non ci sono batteri che tengano, il ministro dell’Istruzione bazzica le scuole professionali (chapeau!) facendosi immortalare di fronte a una pentola fumante. L’episodio più eclatante, però, è quello che nei giorni scorsi ha visto il ministro del Turismo Brambilla presentare il suo Codice del turismo, facendolo precedere da una dimostrazione di cucina pratica: con tanto di Maestro (Gualtiero Marchesi) e stuolo di chef stellati al seguito, ha provato a mettere a tacere le polemiche dei giorni scorsi mescolando un bel calderone di minextra.
Una dimostrazione simpatica dove, però, la ristorazione reale, quella dei tanti piccoli imprenditori con l’acqua alla gola, è rimasta fuori dalla porta. Distanti le istituzioni dalla “pancia” del Paese, distanti i colleghi famosi dagli altri meno bravi (o meno fortunati, o meno appariscenti…).

Ieri sera è andato in scena il talent show “cucchiaio e forchetta” di Signorini che promette lavoro presso i grandi chef alla faccia dei tanti ragazzi che in questi giorni sono partiti per farsi le ossa durante la stagione turistica e che, in un giorno solo, totalizzano tutte le ore di lavoro dei colleghi mediatici.
Due situazioni diverse, ma purtroppo neppure troppo distanti: con la cucina spettacolarizzata e chef trattati come divi, dalle divise troppo bianche, immacolate.

Nonostante lo share, però, penso sia arrivato il tempo che l’enogastronomia smetta i panni del costume popolare, più o meno patinato e televisivo, e si riappropri delle pagine di cultura che le spettano. Qualche giorno fa, uno dei pilastri della ristorazione italiana, Gianluigi Morini, mi ha detto: “Il mio ristorante è la mia casa e i miei clienti, quando entrano qui, sanno che mi incontreranno”.

Non sarebbe poi così male se i ministri continuassero a fare politica e i cuochi continuassero a fare cucina. La storia è passata per i fornelli, ben prima che arrivasse la televisione e, fino a prova contraria, è durata più a lungo.

Autore

Fabio Molinari

L’unica persona sera in questa gabbia di matti. È un po’ che non scrive su Papille, ma ci ha lasciato bellissimi pezzi su vini, posti in giro per l’Italia e cazzabubole

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