Caro amico luppolo

da | Mag 13, 2010

Gli storici non si sono ancora messi d’accordo se l’uomo ha scoperto prima la birra o prima il pane. Davvero, non è una balla. Certo, parliamo di una brodaglia fermentata a base di acqua e cereali, ben lontana da quello che oggi intendiamo per birra e da ciò che i tedeschi hanno sigillato nel Reinheitsgebot: acqua, malto d’orzo e luppolo (e lievito, ma quello era ancora sconosciuto).
Di tutti e tre, il meno considerato – un po’ come la mirra dei Re Magi – è di gran lunga il luppolo. Grave italico errore, perché le birre luppolate riservano meraviglie aromatiche alle papille curiose. Oggi ve ne presentiamo qualcuna.

Cominciamo col conoscere meglio questo ingrediente. L’humulus lupulus è un parente botanico della cannabis, e si riconosce facilmente dall’infiorescenza, simile ad una spiga di grano seppur piegata all’ingiù: se vi eravate chiesti cosa erano quei disegnini presenti in dozzine di stemmi di birra, bè, è luppolo stilizzato.
E se vagando per l’Europa avete notato distese di campi con degli altissimi pali (anche 5, 6 metri) avviluppati da un rampicante verde, bè, è di nuovo luppolo.

Nella birra svolge molte funzioni. La principale è quella del gusto: il luppolo è infatti responsabile dell’amaro, e di tutte quelle sfumature aromatiche non riconducibili alla fermentazione o alla maltatura. Ha poi una forte funzione antibatterica (oggigiorno inutile) e per non farsi mancare niente aiuta anche la tenuta della schiuma.
Preferite le pilsner boeme alle lager tedesche? Bene, questa preferenza è molto probabilmente dovuta alla differente (e migliore) qualità del luppolo ceco rispetto a quello bavarese.

Insomma, la chiudo qui col pippotto solo per dirvi: amici, luppolo è bello.
Ora però vediamo cosa c’è nel bicchiere.

La regina delle birre luppolose è la Poperings Hommel Bier, belga, della città di Poperinge – i cui abitanti affermano che il lemma fiammingo per luppolo (hommel, appunto) non venga dal latino humulus ma che sia il contrario, cioè che sia il latino ad aver copiato dal fiammingo. Tanto per capirci su quanto sono fieri delle loro pregiate varietà floreali.
Presente sul mercato da anni, è stata la prima birra belga a intraprendere la strada della luppolatura estrema, segnalata già un paio di lustri fa da Michael Jackson (non lui, l’altro), e segna ben 40 IBU. Amarissima? No. L’equilibrio fra il corpo mieloso e tondo e la chiusura aromatica del luppolo è davvero notevole: speziata, con note di pepe e di arancio, pulisce la bocca alla grande.
Si trova ormai in quasi tutti i negozietti specializzati in birra.

La seconda birra che vi segnalo è la francese St. Landelin Mythique. Interessante per almeno un paio di motivi: perché si tratta di un prodotto nuovo, offerto da una Brasserie industriale (i Gayant di Douai) seconda in Francia per produzione e ben distribuita nei supermercati; e perché la tecnica del dry hopping, cioè della luppolatura a freddo, è qui dichiarata apertamente in etichetta. Siamo davanti ad un prodotto versomilmente nato sui tavoli del marketing per accompagnare la nascente moda delle birre luppolate, e che tuttavia – come ci si può aspettare da una birreria “nazionalpopolare” – non persegue certe esagerazioni, preferendo un equilibrio che possa piacere a tutti.
Nel bicchiere sprigiona un bouquet floreale con note agrumate, in bocca è inaspettatamente fine – dato il cappellone di schiuma che produce – con un luppolo non aggressivo in amarezza ma decisamente di grande persistenza. Va giù bene.

Chiudiamo con l’ultima bevuta. Questa sì davvero rara: la Blonde Ros della De Bekeerde Suster, birra artigianale olandese che potrete trovare nel microbirrificio di Kloveniersburgwal ad Amsterdam, proprio nel Red Light District, se la smetteste di guardare le donnine nude e vi concentraste sulla birra.
Prodotta utilizzando cinque luppoli diversi, è una bella birra – forse non eccelsa in termini planetari ma decisamente una delle migliori birre olandesi – torbida come una blanche, dal gusto di cereale e con un profumo citrino che non nasconde i lieviti. Sembra appunto una bianca. Poi però in bocca ti stupisce con un finale secco, aromatico e non amaro, con punte addirittura speziate. Decisamente un buon indirizzo.

Autore

Giulio Nepi

44 anni, doppio papà, si occupa da aaaaanni di comunicazione web. Genovese all’anagrafe ma in realtà di solide origini senesi, ha sposato una fiamminga francese creando così un incasinato cortocircuito di tradizioni enogastronomiche

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