Taxi, insegua quella Granaccia

da | Giu 4, 2013

Lunedì 17 giugno, alle ore 15, ai Magazzini del Cotone (sala Zefiro), nell’ambito di Terroir Vino, noi Papilli terremo una #ddb (degustazione dal basso) sulla Granaccia del Ponente Ligure, con assaggio di otto granacce in purezza. Si partecipa solo su prenotazione. Posti limitatissimi (ingresso 20 euro, ma il biglietto vale anche per la manifestazione). Per iscriversi, cliccate qui.

Quiliano è stretta: ha Savona che la chiude verso il mare, e una fila di monti sulla collottola. Sulla sommità di quelle cime, come indiani nelle riserve costretti sempre allo stesso giro di musica, se ne stanno cinque grandi pale eoliche. Perché qui il vento, tramontana o brezza marina, non manca quasi mai.
Quiliano ha la sua bella casa comunale, scuole, negozi, casette aggraziate sulla sponda dell’omonimo torrente, un santo patrono (San Lorenzo) e un sindaco comunista (o postqualchecosa) ininterrottamente dal 1945. Quiliano ha settemila anime e passa; il gemellaggio con Aidussina, Great Wyrley e Macon; una delle più grandi e tetre centrali termoelettriche di Italia; diverse chiese e un convento di cappuccini.
E una nomea indelebile per la Granaccia, che qui si produce dal XVIII secolo.

Per afferrare bellezze e miserie della granaccia ligure bisogna venirci, a Quiliano. E una volta arrivati, cercare speranzosi la cantina riferimento di questo vino: quella di Innocenzo Turco. Si nasconde nel centro del paese. Non ha un cartello che la segnala, non è visibile dalla strada e non ci sono vigne attorno. Basta chiedere in paese, e tutti ve la indicheranno.
Una volta arrivati in cantina, accolti da Lorenzo, il titolare, non bisogna stupirsi delle dimensioni: il produttore di riferimento, il nome più conosciuto, produce in totale 12000 bottiglie l’anno. Dalle quali occorre sottrarre ancora quelle di Pigato. Fanno 10.000 bottiglie. Smerciate in buona parte nell’agriturismo di famiglia. Numeri da amatori; però il vino è buono, e tanto. Certo, costoso più della media, come tutti i vini liguri (poco più di 12 euro a bottiglia, prezzo di cantina). E raro come una giornata di sole in questa primavera, un assist di Pippo Inzaghi, un sorriso di Clint Eastwood.

A Quiliano, vigne di Granaccia (attenzione, alcune sono di buzzetto, un bianco citrino che più citrino non si può) ce ne sono proprio poche. Due vigneti li coltiva Lorenzo Turco (il cru è il vigneto dei cappuccini); 200 litri all’anno li imbottiglia l’azienda agricola di Turco Dionisia; un migliaio Luca Murgia, dell’azienda agricola Riasca. Stop.
La granaccia è arrivata qui dalla Spagna, nel XVIII secolo, perché famiglie locali avevano commerci con la terra iberica. Si è radicata, si è acclimatata, esprimendo le sue peculiarità:  colore scarico; profumi di piccola frutta rossa (lamponi, more) e afflati balsamici (erbe aromatiche), col tempo arricchiti da richiami speziati di pepe (soprattutto) e tabacco; un sorso privo di tannini spigolosi ma di acidità vigorosa. Un vino che necessita di un periodo di affinamento (un paio d’anni) e che si mantiene integro abbastanza a lungo (un paio di lustri).

La granaccia coltivata nel resto della riviera di Ponente, invece, è di origine franco-provenzale. Produce poco di più, e nel bicchiere ha assonanze evidenti con quella di Quiliano.

Quando siamo stati tra le cantine che producono granaccia in purezza, era il weekend di ProWein, importante manifestazione enologica che si svolge in Germania. Ad accoglierci in cantina, così, abbiamo trovato tante donne. Appassionate, competenti, come la giovanissima Caterina Vio (dell’az. Agr. Bio Vio), o Laura dell’azienda Durin, o la mitica Bice dei Feipu dei Massaretti, che ci ha raccontato di Pippo, suo marito, e dell’amicizia con Veronelli nata all’ombra della vite. Abbiamo scoperto un agriturismo incantevole (Valle Ponci), la posizione invidiabile (e i vini interessantissimi) di Cascina Praiè.  Abbiamo scoperto le vinificazioni innovative che in questi ultimi anni si stanno portando avanti sulla granaccia. Abbiamo odorato tutte le aromatiche coltivate nella piana d’Albenga e ci siamo sporcati le scarpe nella terra gonfia d’acqua delle fasce terrazzate.

Abbiamo un’ora di tempo, e otto bicchieri, per raccontarvi tutto questo. Ecco i vini che assaggeremo durante la #ddb:

Granaccia 2009 – Riasca di Murgia Luca az. agr. (Quiliano)
Granaccia 2011 – Innocenzo Turco az. agr. (Quiliano)
Granaccia “Vigna Nuova del Mulino” 2012 – Turco Dionisia az. agr. (Quiliano)
Granaccia 2011 – Valleponci az. agr. (Finale Ligure)
Granaccia 2012 – Bio Vio az. agr. (Albenga)
Granaccia 2011 – Cascina Feipu de Massaretti (Albenga)
Granaccia 2011 – Durin (Ortovero)
Granaccia “Sciurbì” 2010 – Cascina Praiè (Andora)

Autore

Alessandro Ricci

Sotto i 40 (anni), sopra i 90 (kg), 3 figlie da scarrozzare. Si occupa di enogastronomia su carta e web. Genoano all’anagrafe, nel sangue scorrono 7/10 di Liguria, 2/10 di Piemonte e 1/10 di Toscana. Ha nella barbera il suo vino prediletto e come ultima bevuta della vita un Hemingway da Bolla.

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