19 marzo 2010. Gualtiero Marchesi compie 80 anni. Anche noi, Papille Clandestine, che non abbiamo mai avuto l’occasione di gustare la sua cucina, vogliamo festeggiare questa ricorrenza. Perchè Marchesi ha rivoluzionato il modo d’interpretare e proporre la cucina italiana. Lo festeggiamo proponendo alcuni brani di un articolo che ho scritto per il mensile la Madia Travelfood . Ho sentito personalità vicine a Marchesi, ma provenienti da mondi diversi, legati all’arte.
“Con i grandi piatti – nella storia della cucina, della gastronomia, della tavola – si è sempre cercato di imitare una certa architettura sovraccarica di motivi decorativi. Costruzioni complesse, virtuosistiche, stupefacenti. I piatti di Marchesi sembrano ispirarsi, invece, alla pittura. I volumi sono ridotti al minimo. Conta il disegno. Conta, soprattutto, il colore”.
Emilio Tadini, pittore e poeta italiano, vedeva così la cucina del suo amico Gualtiero Marchesi.
“La cucina totale che propongo nel mio ristorante si spoglia dell’eccesso per recuperare il materico, il piatto diviene anch’esso oggetto indispensabile, l’alimento viene valorizzato nella sua massima espressione, nel suo gusto autentico. Abbandono il decorativo per l’essenziale. Realizzo la cucina minimalista che mi porta a cogliere l’essenza”.
Scrive così, nel libro “Il bello è il buono”, Gualtiero Marchesi, della sua cucina. Affermando ancora: “Il bello puro è il vero buono”.
Aldo Spoldi, pittore, docente di Tecniche e Tecnologie della pittura, amico di Marchesi, ha scritto con lui (e con Nicola Salvatore) il libro “Il Bello è il buono”: un’opera che scandaglia i rapporti tra filosofia, arte e cucina. A lui abbiamo chiesto di raccontarci il suo Marchesi, ma anche di spiegarci il profondo legame che unisce il mondo artistico e quello gastronomico.
• L’antropologo Lévi- Strauss ha affermato che “non si mangia ciò che è buono da mangiare, ma ciò che è buono da pensare”. Nella cucina di Marchesi, effettivamente, questa frase trova riscontri significativi.
“Io penso che sia così. Noi mangiamo la fiducia. Uno stesso piatto, se cucinato da una persona o da un’altra, è differente, perchè quando mangiamo c’è una forma di garanzia che è data dalla fiducia nella persona che lo ha cucinato. Io penso che, in un certo senso, si mangi un po’ il cuoco: è un fatto di pensiero e affetto contemporaneamente, di fiducia. Io ricordo che Marchesi mi ha detto che noi desideriamo mangiare quello che abbiamo assaggiato da piccoli: è un pensiero non sempre sviluppato a livello razionale, ma presente. Il piatto deve essere nuovo ma allo stesso tempo antico. Questo non è facile, ma quando accade, si mangia in due mondi: uno contemporaneo e uno antico, quello del ricordo. E questo è estremamente affascinante”.
Che il rapporto tra l’arte e Marchesi sia forte lo dimostra anche una bella rubrica, “Art food”, che da diversi anni tiene sulla rivista “STILE arte”, diretta da Enrico Giustacchini.
“Marchesi è una persona con una grande passione per l’arte – spiega Enrico Giustacchini- ha frequentato e frequenta importanti protagonisti dell’arte contemporanea. Diciamo che lui è stato al centro dell’arte italiana degli ultimi 40 anni. Così è nata l’idea di realizzare questa rubrica, uno spazio dove talvolta Marchesi crea piatti autonomi, opere d’arte tout court; talvolta interpreta capolavori e protagonisti dell’arte del ‘900, da Pollock a Chagall a Manzoni: un grande artista che si confronta con grandi artisti. Per noi ha ormai realizzato una settantina di creazioni. E se per la rivista conta solo l’aspetto estetico, per Marchesi il gesto creativo diventa qualcosa di molto concreto e il profilo formale e artistico si confronta con la ricerca del gusto”.
• La cucina di Marchesi a quale pittore o corrente artistica può essere avvicinata?
“In lui c’è la ricerca dell’essenzialità, quindi può essere avvicinato ad artisti che hanno avuto questa caratteristica, come Fontana, per certi versi. Poi Marchesi si diverte anche a fare cose più complesse, più barocche, ma la sua peculiarità è la ricerca dell’essenzialità”.
Eugenio Medagliani dà di sè una bellissima definizione: calderaio umanista. Dalla sua azienda, Medagliani l’Alberghiera, fondata a Milano dal bisnonno Pasquale nel 1860, è passato un giovane Gualtiero Marchesi, quando ancora aiutava i genitori nell’osteria di famiglia. Da oltre cinquant’anni Eugenio e Gualtiero si frequentano, in un rapporto di cultura gastronomica, contraddistinto anche dallo stesso amore per il bello, l’arte e la musica classica.
• Come è nato il suo rapporto con Marchesi?
“Da una scatoletta tagliaverdura. Era il 1954: lui è venuto da me per comprare delle scatolette tagliaverdure per il cuoco dell’osteria di famiglia, quelle scatoline di latta che si utilizzavano per tagliare le verdure in diverse forme per decorare i piatti che erano alla moda nelle salumerie di mezzo secolo fa. Dopo quel primo incontro è ritornato da me, insoddisfatto per l’oggetto acquistato: già allora stava sviluppando la sua visione innovativa della cucina. Per me quella scatoletta ha rappresentato il rompighiaccio tra la cucina tradizionale di un bravo cuoco e quella di uno che la pensava diversamente. Da allora sono il suo angelo custode, o il grillo parlante. Ma per fortuna non mi ha mai schiacciato come succede nella favola di Pinocchio: l’abbiamo sempre pensata uguale. Lui è stato la mano e la mente, io il suggeritore. Lui ha trasformato la cucina della trattorazione italiana in ristorazione. Ma prima di mettere nella carta un piatto, io andavo ad assaggiarlo”.
• Qual è il rapporto tra arte e cucina?
“Il piatto rappresenta la tela del cuoco. Se oggi si preferisce far uso di piatti privi di fregi e di motivi ornamentali, è proprio perchè la funzione del recipiente è assimilabile a quella della tela bianca in pittura: il bordo o fascia del piatto rappresenta una separazione tra la creazione del cuoco e il mondo che la circonda (tovaglia, piatti, bicchieri, posate), con una funzione analoga a quella anonima del passepartout. Infatti la semplice colorazione del bordo influirebbe sull’effetto cromatico della presentazione precludendole o condizionandole l’equilibrio complessivo”.
• La cucina di Marchesi a quale pittore o corrente artistica può essere avvicinata?
Come il Futurismo ha gettato una pietra tra la pittura precedente e quella successiva Gualtiero ha inventato un nuovo stile, in cucina e in sala. Ad esempio, ha sostituito in tavola il vasetto di fiori con la scultura. Le avanguardie sono quelle che fanno fatica, ma che inventano uno stile. Il resto è soltanto moda. Ferran Adrià è una moda, Marchesi uno stile. La maggior parte delle mode, col tempo, spariscono, si dimenticano, lo stile invece, anche se può essere superato, rimane sempre come modello”.
Giorgio Marconi, l’amico gallerista
L’11 novembre 1965, a Milano, in via Tadino 15, Giorgio Marconi inaugurava lo Studio Marconi, in uno spazio che poi sarebbe diventato un fulcro dell’arte contemporanea a Milano (e in Italia). Uno spazio che Marchesi stesso ha frequentato, animato dalla passione per l’arte contemporanea.
“La prima volta che sono andato a mangiare da lui, nell’osteria di famiglia, abbiamo chiacchierato, mi ha parlato subito di arte, poi è venuto nella mia galleria. Nel primo ristorante che ha aperto, dopo aver abbandonato quello di famiglia, ha creato un ambiente molto raffinato, su alcuni aspetti ci siamo confrontati, e gli ho consigliato di mettere su ogni tavolo una piccola scultura. Marchesi ha frequentato tanti artisti, penso a Enrico Baj, Emilio Tadini, Gianfranco Pardi, Tullio Pericoli, Arnaldo Pomodoro, Valerio Adami. Marchesi era tutto contento di poter parlare con gli artisti perchè questi erano immaginifici, e anche lui lo era, e lo è ancora. Gualtiero ha una grande curiosità e interesse per soluzioni differenti dalla normalità, ma ha sempre abbinato grande concretezza e rispetto per i prodotti”.
Chiudiamo ancora con una frase di Marchesi: “Ecco cosa mi affascina veramente: fare cucina dove si respiri e si recepisca arte. Vorrei far sentire i miei ospiti immersi in un luogo speciale, dove rinascimento e contemporaneo si rimettano al valore universale del convivio. Come un’installazione, dove l’artista ha immaginato in un ambiente ideale, così qui vedrei la possibilità di creare un ambiente totale e avvolgente, dove ciò che conta è l’istante preciso e tutto quello che si può offrire”.