Conoscete Villa Pallavicini, a Genova Pegli? Chi ci legge da Genova, spero vivamente che risponda di sì. Ma Villa Pallavicini è un parco talmente bello e importante che dovrebbe essere conosciuto da tutti. Come l’Acquario, il Porto Antico e Palazzo Ducale, dovrebbe essere uno dei principali biglietti da visita della nostra città. Tanto più che il cuore della città è a un tiro di schioppo, grazie al collegamento con la Navebus, il trasporto pubblico navale che è anche un modo per vedere Genova e il suo porto dal mare (e con soli 1,50 di biglietto). Dovrebbe, dico. Perché in realtà un grande buco nero di disinformazione oscura questo parco. Villa Pallavicini è probabilmente il più importante spazio verde di Genova, di certo il più scenografico, ideato da Michele Canzio, tra il 1840 e il 1846 come un percorso scenico ben definito, come un’opera teatrale in tre atti.
Sarà perché ci sono affezionato, ma non ricordo in Italia un giardino così concepito, così suggestivo. Ci sono stato l’ultima volta una decina di giorni fa. E ho riscontrato con grande disappunto (disappunto? incazzatura!) che le condizioni generali della villa non sono, ehm, eccezionali. Una ampia parte, infatti, è chiusa al pubblico, perché non si riesce a far manutenzione. I pannelli esplicativi stanno andando in rovina e non è difficile scorgere qua e là, dietro una camelia in fiore, una sughera o il chiosco turco del nastro bianco e rosso che delimita i passaggi o qualche triste transenna da lavori in corso.
Ma non voglio parlare qui del parco, e della cura in più che meriterebbe (da rimarcare, però, nella settimana che porta all’inaugurazione di Euroflora). Bensì dell’orto botanico, che, assieme al Museo Archeologico, è ospitato all’interno della villa. Non è uno spazio imponente, ma è comunque ampio e a stretto contatto con la città (i palazzi lo lambiscono, la stazione ferroviaria è a 200 metri). Quando sono stato in villa (come direbbe Gilberto Govi) purtroppo non l’ho potuto visitare, perché chiuso. Già, gli orari non sono molto elastici: è aperto solo dal martedì al venerdì, e solo dalle 9 alle 13 (dlin dlon, ultimo ingresso per i ritardari alle ore 12, biglietto d’ingresso compreso nella visita della Villa, 3,50 euro). Dall’alto, però, ho potuto notare una serie di serre vuote e tristi.
In questi giorni, ho riflettuto su come rendere più vivo, e fruibile, l’orto botanico. E ho pensato che sarebbe bello utilizzarne una parte per creare un grande erbario da cucina, un parco di erbe aromatiche. Le aromatiche sono l’essenza della cucina ligure, sono facili da coltivare – e sono belle, ma sono così difficili da reperire in città, soprattutto fresche. Sarebbe assai utile, civile e popolare creare un parco dove le aromatiche (una ventina di qualità) vengano coltivate e dove si possano acquistare fresche, in modiche quantità. Bisognerebbe riscontrare il favore dei proprietari dell’orto botanico (credo il Comune), trovare un gruppo di volontari disposto a seguirlo, l’aiuto di un agronomo, magari un piccolo finanziamento, e il gioco è fatto. Oppure coinvolgere una cooperativa o associazione che lavora con bambini e ragazzi, per realizzare laboratori all’aperto, e lasciare parte della gestione del progetto a loro.
Papille Clandestine lancia questa proposta, e siamo disposti a muoverci, per quello che possiamo, per portarla avanti. Intanto, manderemo questo post al sindaco di Genova e al presidente del Municipio. Rimarrà solo una provocazione?
Un’ultima annotazione. Uno dei temi fondanti della villa progettata da Michele Canzio è costituito dalla dialettica tra ambiente naturale e città, tra uomo e natura. Sviluppare un progetto di utilizzo civile dell’orto botanico significherebbe alimentare questo aspetto. Ma anche utilizzare con successo uno spazio pubblico e (ri)accendere i riflettori su un parco che sta perdendo il suo rapporto con l’uomo e la città per tornare natura selvaggia: e non leggete in queste due ultime parole tanta poesia, ma solo sterpi e rovi.
[Crediti fotografici: © klausthebest]
l'incazzatura è condivisa, per mille motivi noti più uno tutto personale, visto che Villa pallavicini fu il luogo del viaggio di nozze della mia bisnonna. e da lì in poi, è stato un luogo magico, per sempre. Ho smesso di andarci, da tanto mi fa male il cuore ogni volta che mi tocca assistere all'indecenza dei danni che trascuratezza degrado e mala amministrazione son riusciti a combianre, da soli e tutti insieme. Ovviamente approvo l'idea, l'iniziativa e tutto quello che ci sta dietro. Se vi serve un suppporto anche "bloggarolo", servitevi pure di noi 🙂
ciao
alessandra
Anche io sono stata di recente a Villa Pallavicini, ma non l'ho ritrovata come me la ricordavo. Sarebbe bello vedere i giochi d'acqua (di cui in realtà ho solo letto, ma che non ho mai potuto vedere dal vivo), l'altalena sul laghetto non così arrugginita, poter terminare i percorsi senza imbattersi continuamente in cartelli di lavori in corso e in quel nastro bianco e rosso che ti sbarra il cammino.
Mi piace l'idea di far rinascere l'orto botanico puntando sulle erbe aromatiche, sarebbe un modo di far rinascere la nostra villa, di portare energie nuove nella sua cura e manutenzione. Chissà che l'idea non convinca anche la sindaco, che di orti e natura mi pare essere appassionata
Villa Pallavicini era il luogo dell'altrove più prossimo a casa mia, quando non avevo la barba! Era andare in vacanza con otto fermate del 2 (al massimo nove). Da bambino ti stupiva trovare la campagna in un giorno di scuola, senza muoversi dalla città. Dopo qualche anno tentavi di portarci le figliole (e qualche volta ci riuscivi!) perchè il luogo era magico ed era facile celarsi da occhi indiscreti.
E ora che col cibo (e i viaggi) mi diletto e ci lavoro, le erbe aromatiche mi sembrano davvero una grande idea per ridare alla villa la dignità che si merita!
è vero tante sterpaglie e poca cura…anche se la magia è un alone che non scompare…
bella l'idea delle aromatiche! io che con i bimbi ci lavoro avrei già mille proposte per far conoscere e amare villa e piante!
chissà che l'idea non diventi realtà…
Un erbario sarebbe proprio una bella idea per tutti noi amanti della cucina (Ligure e non solo).
Un sacco di erbe oramai non si riescono a trovare più nei mercati, soprattutto se si cercano fresche.
Ogni volta che leggo una ricetta sul mio Odor di Basilico parte l'immancabile caccia al tesoro che tipicamente si conclude con qualche forzato compromesso.
Senza andare sul difficile, solo per recuperare due foglie di alloro o un po' di prezzemolo oramai ci tocca comprare quelle pietose vaschette "assortite" con mezza carota fossile, una foglia di alloro secca, forse la salvia e una cipolla che fa piangere ancora prima di affettarla (quando poi ti accorgi di quanto le hai pagate al grammo..). La maggiorana poi, così comune nelle nostre ricette oramai la si trova solo più in vaso. Altre latitanti che sarebbe carino recuperare sono il coriandolo fresco, il cerfoglio, l'erba cipollina, l'aneto, il timo, il dragoncello, la mentuccia, il ginepro, la ruta, tanto per dirne alcune.
Se davvero partisse un progetto in questa direzione sarei il primo della fila, approfitterei così anche per tornare a visitare la Villa dopo tanto tempo.
Approvo in pieno e aggiungo che, proprio lì vicino (adiacente alla stazione) c'è una pizzeria che fa una delle migliori pizze di Genova. Dov'è? Basta vedere la coda che c'è fuori…:)
Gentilissimo signor Alessandro Ricci,
sono l’architetto che da 25 anni si occupa della villa Pallavicini di Pegli, prima come studiosa e ricercatore, poi come progettista . Ho l’orgoglio di essere la persona che ha riscoperto lo schema teatrale del giardino, che è riuscita a rileggere, tra i documenti ottocenteschi e gli indizi nascosti tra le pieghe di questa stupefacente macchina scenografica, la trama del racconto che rende il parco di Pegli un’esperienza culturale e filosofica unica nel panorama italiano ed europeo.
Sono una “Cassandra” che da venticinque anni tenta di convincere il mondo dell’importanza di questo maestoso monumento e della condizione di agonia in cui la nostra società lo ha relegato. Non so più contare i convegni, le conferenze, le lezioni universitarie durante le quali ho raccontato con grande entusiasmo i frutti delle mie ricerche e progettazioni sul tema; potrei riempire una scrivania di pannelli illustrativi, testi, articoli, guide e non ultimo il saggio Il parco Durazzo Pallavicini di Pegli, L’opera romantica di Michele Canzio, ormai da anni esaurito e ovviamente non ripubblicato.
Lei ha scoperto di recente che la villa versa in uno stato di elevato degrado il ché le ha giustamente provocato disappunto e “incazzatura”.
Io le posso dire che nel 1992 sono stati spesi per restaurare la parte bassa del giardino circa otto miliardi di lire e che il lavoro fatto è stato completamente vanificato nei seguenti diciannove anni. Oggi è corretto parlare di agonia. E l’agonia è inevitabile se si comprende una semplice equazione:
Il parco è gestito dal Comune >>> il parco cade a pezzi
Restauriamo il parco impegnando ingenti risorse >>> dopo il restauro lo riconsegniamo al Comune,
cioè a chi lo aveva ridotto a pezzi = il parco tornerà più a pezzi di prima
Oggi mi sto occupando con grande entusiasmo professionale dei nuovi progetti di restauro che impegneranno oltre tre milioni di euro e contemporaneamente sto cercando di produrre idee nuove per una gestione alternativa, mirata a salvaguardare e valorizzarne le caratteristiche culturali, storiche, architettoniche, paesaggistiche e turistiche del complesso.
In questa impresa sono coadiuvata dalle associazioni culturali e ambientaliste pegliesi, dal Municipio, dai 2400 cittadini che hanno firmato per richiedere al Sindaco attenzione su questa proposta.
Le risposte da parte dell’Amministrazione sono piene di buoni propositi, rimandate nel tempo a causa dei legittimi “tempi comunali”, in verità piene di cavilli, di mancanza di soldi e, a mio parere, di una vera e coatta volontà.
Nel frattempo la parte alta del parte e ridotta ad una giungla di rovi e alberi morti, dove i sentieri sembrano greti di torrentelli di montagna.
Nel frattempo nel viale Classico le siepi sono spennate , il prato di convallaria ha la lopeccia, gli arancini nei vasi sono un esempio di campo di concentramento vegetale e i rovi hanno giorno dopo giorno creato casate di tralci vigorosi che potrebbero mettere paura persino alle lame della motosega.
Nel frattempo il cancello su Varenna è sempre aperto e tutte le altre architetture della parte alta sono abbandonate ai vandali.
Nel frattempo il Castello è stato brutalmente vandalizzato da ladri che a colpi di mazze e picconi hanno demolito tutto il terrazzo dei baluardi e la scala che portava al torrione per rubare le impermeabilizzazioni in rame.
Ora, io sono il progettista incaricato dei progetti, e spero di essere un buon progettista per il bene del parco, per la mia dignità professionale e personale e per confermare che il Comune ha fatto una buona scelta nell’affidarmi l’incarico. Ma questo affido non può evitarmi di dire la verità.
Mi piace inoltre farle sapere che nel 2000 sono stata incaricata da AMGA di redarre il progetto di restauro dell’Orto Botanico. Questo progetto comportava il recupero delle serre storiche, la progettazione della nuova serra delle ninfee e la definizione del progetto dell’allestimento botanico.
Sono un architetto laureato all’antica dopo cinque anni di architettura generale; sono un paesaggista formato in tre anni alla Scuola di Specializzazione in Architettura del Paesaggio di Genova; da sette anni sono professore a contratto presso la Facoltà di Architettura di Genova per il corso di Restauro dei Giardini storici. Per affrontare il progetto del nuovo allestimento botanico dell’Orto ho scelto come consulente il Professor Patrizio Giulini, il professor Enrico Martini, il professor Gianfranco Fineschi, i signori Bruno Manera, Giuseppe Genzone, Giorgi Sciaccaluga, Giorgio Giorgi, Enza Romano, Bruno Visentini, Luciano Noaro, Marcello Botto e fratelli Tintori.
Credo di poter sostenere che grazie alla sommatoria di competenze raccolte il progetto era valido e brillante sotto ogni punto di vista; la Soprintendenza e il Comune lo hanno approvato senza alcuna riserva.
Ad oggi sono undici anni che guardo l’Orto Botanico nel quale il mio progetto approvato da tutti non è stato realizzato; sono undici anni che covo la voglia di chiedere pubblicamente all’Amministrazione “Perché As.Ter, si è arrogata il diritto di stravolgere o meglio ignorare un progetto approvato? Chi gliene ha dato il diritto?” E ancora di più “Perché nelle aiuole del tratto di levante invece delle collezioni si coltivano le fave, le melanzane e i pomodori?
E tutto questo viene fatto alla piena luce del sole mentre tutti fanno finta di non vedere.
Carissimo Signor Ricci, detto questo la ringrazio per aver scritto l’accorato richiamo di attenzioni alla Villa Pallavicini, la invito ad una visita insieme sia del parco che dell’Orto Botanico, ma la prego non semini nuove idee sull’uso del più piccolo orto botanico storico d’Italia; le idee ci sono tutte e di ottima qualità scientifica e paesaggistica, ci serve soltanto l’autorità di metterle in pratica.
Genova 26 aprile 2011-04-26
SilvanaGhigino
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