[Post moralista. Astenersi peccatori senza background di catechismo parrocchiale]
Leggo (solo) oggi che a Reims la maison di champagne Piper Heidsieck – una delle più prestigiose e celebri – ha licenziato quaranta dipendenti, circa un quarto della forza lavoro [via Geisha Gourmet]. Un calcio in culo e via.
Il motivo è che a sua volta Piper ha preso un bel calcio in culo, ma dal mercato: nel solo 2009 la flessione delle vendite è stata del 42%. Qualcosina è stato recuperato nel 2010 (+11%) ma non a sufficienza. Al punto che il gruppo Remy Cointreau che controlla la casa ha deciso di disfarsi della propria “divisione champagne”, che ora è in vendita.
Leggo inoltre che sì, la crisi ha picchiato duro fra le dolci colline della Champagne, ma che in particolare Piper Heidsieck se l’è un po’ – come dire – andata a cercare. Invece di venire incontro al calo dei consumi adottando una qualsiasi strategia promozionale, come hanno fatto le altre maison, ha infatti ostinatamente continuato a vendere le proprie bottiglie ai soliti prezzi (non propriamente economici), dirigendosi ebbra verso il precipizio.
Ora, ci sono un po’ di cose in questa situazione che mi innervosiscono e quindi ciò che dico potrebbe mancare di lucidità. Ma dunque.
Diciamo che vuoi fare lo champagne aristocratico anche in tempo di crisi. Può andar bene. Ma allora che senso ha liquidare la società dopo un anno dalle perdite, con una classica scelta da finanza neoliberista? Se lo fai per il nome, sopporta e aspetta tempi migliori, tanto hai le spalle larghe. Se lo fai per i profitti allora non fare lo snob e abbassa i prezzi – gli affari sono affari, come diceva Filo Sganga.
A me questa storia ricorda molto l’impressione che ebbi qualche anno fa visitando le caves Moët & Chandon.
Bella villa padronale settecentesca, di campagna. Austera, di quelle sane borghesie terricole che hanno formato il nerbo della ricchezza francese. Le pareti erano però tappezzate con manifesti pubblicitari all’insegna del lusso più sfrenato – roba che stonava con l’aura del domaine, oltre che col mio CUD.
M&C, è noto, appartiene al polo dei superricconi LVMH (Louis Vuitton, Dior, Chateau d’Yquem e cento altri marchi non molto proletari); cose del tipo: quattro fotomodelli pradavestiti e ingioiellati escono ridenti da un suvvone con una bottiglia di Dom Perignon ciascuno. Vi succede tutti i giorni, no?
Il messaggio era talmente spudorato, talmente ripetuto, che rapidamente suonava l’allarme neuronale che non solo i genovesi posseggono: “questi qui vogliono vendermi qualcosa”. Solo che quel qualcosa era un’idea, era che “questo vino è figo, è caro ed è per ricchi”. Che una persona normale aggiunge: quindi non è per me, e allora andatevenaffanculo.
Ho proseguito la visita a disagio e incazzoso. E con bambinesco rancore ho dichiarato pubblicamente che lo champagne d’assaggio non era buono, e senza neanche mentire troppo.
La sera abbiamo dormito poco lontano, in un bed & breakfast di quelli belli rustici, di quelli che se ci porti un redattore di AD o Interni la cosa equivarrebbe a tortura. Guarda caso la signora produceva orgogliosamente il proprio champagne, da almeno tre generazioni. L’abbiamo assaggiato per pura cortesia, visto che lo vendeva all’irrisorio prezzo di 13 euro.
Posso fornire testimoni: fra lo stupore della comitiva ci siamo imbattuti in uno champagne eccellente, decisamente uno dei migliori che abbia mai gustato (abbiamo poi scoperto che il di lei babbo era stato maître de cave di non mi ricordo più quale famosa maison, nonché uno degli esperti inviati proprio da M&C in California per seguire l’apertura della tenuta di Napa Valley).
Quel giorno, tra le fotomodelle di LVMH e la bottiglia da tredici euro della nostra ospite, abbiamo toccato con mano quanta fuffa il marketing può appiccicare al valore di un vino.
Questa notizia di Piper che licenzia ha catalizzato i due ricordi, e mi è venuto il serio dubbio che questi signori abbiano preferito sacrificare i bilanci – che tanto poi si risistemano tagliando esseri umani – pur di onorare la strategia di comunicazione che ha trasformato le loro bottiglie in beni di lusso.
Sic transit gloria mundi.