La solitudine dei numeri uno

da | Dic 4, 2012

Era cerchiato in rosso nel mio elenco di cose-da-fare-a-Edimburgo-così-lo-meno-agli-amici, il pub della Brewdog.
Non potevo esimermi. Sono birre che in linea di massima mi piacciono, con fisiologiche oscillazioni fra il godimento e la saturazione a seconda degli umori beverini. Inoltre ne riconosco il valore in termini di innovazione comunicativa, di idee e di capacità di creare un’onda intorno a uno stile che oggi magari può cominciare a stancare (confermo che assaggiare tutte le loro spine è impossibile, a meno di non trasformarsi in un’infiorescenza di luppolo), ma a cui sono comunque grato ché le Ipa sono state le mie gateway beer.

Vi risparmio quello che ho bevuto e arrivo subito al punto: saran state le aspettative alte, ma sono uscito con addosso un vago sentimento di delusione e una strana inquietudine.
Non per il locale in sé (caruccio), né per la posizione (il quartiere è in realtà decisamente squallido), né per la qualità delle birre (tutte a posto, Hardcore Ipa particolarmente in forma).

Se quello stesso pub venisse teletrasportato, chessò, a New York o in via del Campo, non avrei niente da obiettare (soprattutto nel secondo caso). È che lì, nel cuore di Edimburgo, hai la netta sensazione che non c’entri niente.
Parliamo di una città pervicacemente attaccata alle proprie tradizioni scozzesi, che ti conquista anche per questo. Tradizioni che non sono solo fatte di batoste militari contro gli inglesi, tartan, whisky o Sean Connery, ma anche di pub fantastici con birre scozzesi e fantastiche. Il fatto è che la produzione brewdoggara non ha (volutamente, sia chiaro) niente a che vedere con tutte queste real ales tradizionali: e per chi come me proviene da un paese dove cibo e territorio sono indissolubilmente legati, e si amplificano a vicenda, la cosa crea un certo “effetto MacDonald’s” (mi riferisco non alla qualità, ci mancherebbe, ma alla serialità di un format slegato dal genius loci).
Detta brutalmente, non c’era bisogno di fare tanta strada per bere queste birre in questo posto. Da qui il vago sentimento di delusione.
Poi certo, se siete quel genere di turisti che cercano di mangiare pizza anche a Londra, probabilmente non la penserete come me.

Poi c’è un secondo aspetto, quello dell’inquietudine, che deriva dal primo. Non solo le birre sono qualcosa di decisamente altro rispetto allo “spirito di Edimburgo”, ma le trovo quasi tutte in vendita nel raggio di un comodo chilometro da casa mia. Certo, in bottiglia e non alla spina, ma ci siamo capiti.
E va bene che oggi siamo tutti villici globali, con indosso mutande fatte in Cina con cotone indiano, va bene che siamo ingranaggi di un’economia senza confini, ma il bambino che ci fa notare che il re è nudo andrebbe sculacciato. Soprattutto quando si è in vacanza.

Poscritto. Per smentirmi, mentre butto giù queste righe un mio amico mi sta entusiasticamente whatsappando chilotoni di foto delle birre del Brewdog pub di Londra. 

Autore

Giulio Nepi

44 anni, doppio papà, si occupa da aaaaanni di comunicazione web. Genovese all’anagrafe ma in realtà di solide origini senesi, ha sposato una fiamminga francese creando così un incasinato cortocircuito di tradizioni enogastronomiche

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